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Wto, nessun accordo a Ginevra nel negoziato sul Doha round

dal nostro inviato Alessandro Merli

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30 luglio 2008

GINEVRA - Dopo nove giorni e notti di trattativa quasi ininterrotta, il negoziato del Doha Round per la liberalizzazione del commercio mondiale è definitivamente saltato ieri pomeriggio. Uno a uno, i protagonisti del fallimento sono sfilati giù dallo scalone della sede della Wto,l'Organizzazione mondiale del commercio, per certificare davanti a registratori e telecamere un esito atteso ormai da ventiquattr'ore. E l'imminenza delle elezioni negli Stati Uniti e in India non a caso proprio i due Paesi la cui ostinazione ha costituito l'ostacolo insormontabile al successo del negoziato - e del cambio della Commissione europea,nei prossimi dodici mesi, rende improbabile una ripresa a breve termine. Il tutto mentre l'economia globaleè in una fase in cui avrebbe avuto bisogno di una spinta dall'accordo, ha osservato il commissario europeo Peter Mandelson.

Lanciato nel 2001 per contribuireattraverso l'apertura commerciale alla crescita dei Paesi in via di sviluppo, il Doha Round avrebbe dovuto produrre un grande scambio con una riduzione dei sussidi agli agricoltori negli Stati Uniti, un miglior accesso al mercato europeo dei prodotti agricoli, l'abbassamento dei dazi sui prodotti industriali nei grandi Paesi emergenti. Secondo il direttore generale della Wto, Pascal Lamy, 23 dei 25 punti ancora aperti erano stati pressoché risolti, in parte attraverso un "pacchetto" elaborato dallo stesso Lamy venerdì sera e che aveva generato una buona dose di ottimismo, nonostante molte obiezioni. Ma in un regime in cui tutti gli aspetti vanno sottoscritti assieme, anche gli accordi già raggiunti vengono ora messi da parte. Un sistema di negoziazione troppo complesso ha mostrato ancora una volta l'incapacità di raggiungerei propri obiettivi, dopo che il Round aveva già mancato il rispetto di una serie di scadenze sull'arco dei sette anni.

«I ministri ha detto Lamy, che secondo qualcuno ha commesso l'errore di convocare a Ginevra i ministri quando le discussioni tecniche avevano evidenziato divergenze ancora ampie - si sono lasciati sfuggire un accordo che avrebbe prodotto 130 miliardi di dollari l'anno di minori dazi tariffari, i due terzi dei quali sarebbero andati a beneficio dei Paesi in via di sviluppo». Ma ancora prima di arrivare a discutere della diatriba sul cotone (che divide da anni Stati Uniti e alcuni Paesi africani e aveva già bloccato il negoziato cinque anni fa a Cancun), il confronto di Ginevra si è incagliato su una clausola di salvaguardia invocata dall'India e da alcuni Paesi poveri per poter alzare i dazi sui prodotti agricoli in caso di aumento delle importazioni per proteggere i propri contadini.

Un punto irrinunciabile per il ministro indiano, Kamal Neth, secondo cui «è ironico il fatto che un round dello sviluppo si sia bloccato su un punto riguardante la sopravvivenza degli agricoltori più poveri». Ma è ironico anche, secondo altri partecipanti alla riunione, che la protezione fosse rivolta in parte non secondaria contro prodotti di altri Paesi in via di sviluppo. E comunque la posizione indiana, appogiata da Pechino, si è scontrata con quella altrettanto irremovibile del negoziatore degli Stati Uniti, Susan Schwab. Anche se a caldo i partecipanti alle riunioni hanno tentato di evitare gli scambi di accuse, da più parti India eStati Uniti sono stati additati come i responsabili del collasso.

«È incredibile che i negoziati si siano bloccati su un solo punto e sul quale le differenze erano piccole »,ha detto il ministro brasiliano Celso Amorim, che, a differenza degli ultimi anni, non si è schierato a fianco dell'India e ha tentato un'inutile mediazione.

Secondo Amorim, un veterano delle trattative commerciali, ci vorranno tre-quattro anni per un'eventuale ripresa e «invece di cambiare l'allenatore, come nel calcio, forse bisogna cambiare i giocatori, me compreso». Intanto, come ha osservato Lamy, il sistema multilaterale ( e la credibilità della stessa Wto, si potrebbe aggiungere) esce con le ossa rotte ei prossimi anni possono registrare un'ulteriore proliferazione di accordi bilaterali e regionali. Dovei perdenti rischiano di essere ancora una volta i Paesi più deboli..

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