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«Con Obama è scoppiata anche la bolla della politica»

di Alberto Orioli

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Paga il contribuente, si salva il rentier: è stata la lettura fatta durante il dibattito al Congresso, una dialettica peraltro simile in tutti i Paesi dove sono in discussione piani di salvataggio pubblico delle banche o dei soggetti finanziari. «Non obietterei all'ingresso di denaro pubblico nel capitale delle banche, purché sia temporaneo, non realizzato per fini ideologici, come fu nella Francia di Mitterrand nel 1981. Nella storia degli Usa ci sono molti esempi di salvataggi temporanei dalle ferrovie, all'industria, alle banche; ma là ci sono più garanzie di temporaneità rispetto all'Europa, che è ancora non del tutto immune da tentazioni dirigiste e stataliste. Quanto ai contribuenti, non è detto che debbano rimetterci: dovrebbero anzi guadagnarci, visti i prezzi bassissimi ai quali lo Stato acquista le partecipazioni».

Il sereno e la fiducia torneranno se il grande capitale politico del nuovo inquilino della Casa Bianca si tradurrà in scelte efficaci nella politica economica. PadoaSchioppa lo sa bene ma non propone ricette né fa previsioni. Analizza i tre profili della crisi, ciascuno dei quali richiede terapie differenti e ha diversi tempi di guarigione. «C'è la crisi del panico, ancora in atto, che paralizza i mercati: essa viaggia sulle onde corte, ha bisogno di interventi rapidi, non durerà molto a lungo. Poi c'è la crisi dei mutui, nata dall'eccesso di liquidità e da pratiche finanziarie imprudenti. Ci sarebbe stata anche senza il panico, ha onde medie, la sua cura avrà bisogno di una grande riforma dei mercati finanziari: la riforma dovrà imporre regole più stringenti, ma riposare sulla proprietà privata e sulla concorrenza».

Il terzo livello della crisi, quello dell'onda lunga, per Padoa-Schioppa deriva da come hanno funzionato l'economia e lo stesso stile di vita americani. «È in crisi l'economia del debito, cresciuto a dismisura. Nemmeno la più forte e più ricca economia del mondo poteva permettersi il completo venir meno, per anni, della formazione di risparmio sia pubblico, sia privato: una situazione insostenibile che, infatti, non ha retto».

A questo squilibrio americano si connettono la globalizzazione e l'emergere dell'Asia come grande attore nell'economia mondiale: «Sì, l'Asia è stato il principale sottoscrittore di titoli di debito americano, così come è stato il principale produttore di beni a basso costo che hanno garantito parte del livello dei consumi senza inflazione. La sua ascesa, come fu 100 anni quella degli stessi Stati Uniti o della Germania, sconvolge gli equilibri politici ed economici del mondo». Sconvolgimenti che hanno avuto un valore ambivalente nelle dinamiche interne agli Stati Uniti: «L'economia americana ha avuto bisogno di crescere e di rafforzarsi anche perché in un Paese in guerra non si mantiene il consenso se non c'è un senso diffuso di prosperità economica. E il primo indicatore del benessere è il livello dei consumi, forzato dalla liquidità sovrabbondante e dal debito pubblico in crescita».

Liquidità vuol dire Federal Reserve, ma rimanda anche alla storica dialettica tra la banca centrale americana e la Bce. Ma non solo. Padoa-Schioppa torna ai panni di banchiere centrale: «Durante la crisi di panico la Fed ha saputo reagire con grande prontezza di riflessi e senza tabù. Ha, come doveva, utilizzato tutte le leve di cui disponeva, secondo alcuni ha anche oltrepassato i limiti delle competenze statutarie. Una capacità di reazione da apprezzare».

E Greenspan? «Diverso è il discorso sulla Fed degli ultimi 15-20 anni, anche se non va personalizzato. Ci sono due scelte di fondo da non condividere. La teoria della deregolamentazione che ha portato fino a sostenere che «se Bill Gates è più bravo a fare il banchiere, lo faccia pure liberamente al posto delle banche», in base al principio che i mercati finanziari funzionano meglio senza regole. Un principio errato. La seconda scelta discutibile è quella di una politica monetaria molto espansiva, con tassi di interessi addirittura negativi in termini reali (nel periodo 20012004) e svincolati dalle dinamiche degli aggregati monetari. Alla lunga l'inflazione ci avverte di un eccesso di moneta; ma qui il campanello d'allarme non ha suonato perché le merci cinesi importate sono servite a tenere bassi i prezzi al consumo. L'inflazione si è scaricata sui beni d'investimento creando le bolle speculative che sono all'origine della crisi. Insomma, alcune delle scelte della Fed, troppo attenta ad alimentare l'illusione del benessere che era funzionale al ciclo elettorale, hanno creato il presupposto della crisi in atto».

Meglio la Bce, quindi? Il cuore di padre fondatore della Banca centrale europea rende PadoaSchioppa naturalmente «tifoso» nell'analisi: «Il fatto che il mandato Fed sia di 4 anni e quello Bce il doppio fa una differenza e forse rende la banca centrale Usa più sensibile al ciclo politico di quanto non sia la consorella europea. La Bce, peraltro, è da sempre molto attenta alla massa monetaria e assai vigile sugli andamenti dell'inflazione. Oltretutto opera in un contesto che non ha visto l'ipertrofia della finanza e l'onnipotenza dei mercati come Oltreoceano. E questo è un bene».

  CONTINUA ...»

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