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Vertice Ue, Paesi euro e dell'Est
quasi separati in casa

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28 febbraio 2009

Convocato nel Palazzo Justus Lipsius di Bruxelles dalla presidenza di turno ceca dell'Unione su sollecitazione della Francia, l'ennesimo vertice-lampo Ue - tutto si dovrebbe svolgere tra le 12 e le 16 di domenica 1° marzo - ha in agenda un tema di fondamentale importanza per il futuro dell'Unione e dell'economia europea: il coordinamento tra i Paesi membri delle azioni destinate al risanamento del sistema bancario e al sostegno dell'industria, in primo luogo quella automobilistica. Con il presidente della Commissione Ue Jose Manuel Barroso, e il presidente di turno ceco Mirek Topolek ci saranno tutti i 27 leader europei - per l'Italia il presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi - per trovare delle vie "coordinate"di agire, evitando appunto egoismi nazionali e protagonismi. Proprio per discutere della loro particolare situazione economico-finanziaria, i leader di nove Paesi dell'Est (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Estonia, Lituania e Lettonia) si riuniranno domenica mattina per un breve pre-vertice.

Con l'Est europeo nella tormenta, nella Ue "occidentale" crescono i timori che i problemi dell'ex blocco socialista ne creino di nuovi per Eurolandia. Ci sono le banche della Vecchia Europa molto esposte in Paesi orientali, ci sono le richieste di prestiti e aiuti, e domenica gli europei dell'ex blocco socialista si riuniscono prima del vertice dei 27, alla ricerca di un fronte comune «per evitare che siano solo alcuni Paesi a decidere», nella formula usata dal Governo polacco, promotore del summit separato. Il rischio, si fa notare da più parti, è che vent'anni dopo il crollo del Muro di Berlino la crisi economica costruisca nuove barriere.

Gli attriti tra la Repubblica ceca e la Francia di un Nicolas Sarkozy che è accusato di ricorrere al protezionismo per uscire dalla crisi sono paradigmatici. Quando il presidente francese ha concesso aiuti alle case automobilistiche transalpine in cambio dell'impegno a non delocalizzare, il premier slovacco Robert Fico (il cui Paese ospita un impianto Peugeot-Citroen) ha subito minacciato ritorsioni: «Se la Francia comincerà a comportarsi in questo modo, rispediremo a casa Gdf Suez», ha detto.La crisi divide, e soprattutto mette in evidenza divisioni, differenze, squilibri. Ancora lo scorso anno la Romania registrava una crescita del 7,8% e la Slovacchia 7,1%, ultimo sprazzo di un decennio vissuto a ritmi impensabili per la Vecchia Europa anche in tempi di prosperità. Ora, nel giro di pochi mesi, Ungheria e Lettonia hanno dovuto chiedere aiuto al Fondo monetario internazionale; la Romania ha ufficializzato pochi giorni fa che sarà la prossima in lista; la Polonia se la passa relativamente meglio e - pur preoccupata per il crollo della sua moneta nazionale, lo zloty - smentisce di aver bisogno di un prestito Fmi, per ora.

Economie troppo dipendenti dagli investimenti esteri prosciugati dalla crisi, valute troppo deboli, troppi mutui e prestiti denominati in franchi o euro diventati ingestibili. I fattori sono molteplici e alimentano in diversa misura la paura di un effetto valanga che possa abbattersi anche su quanti hanno investito in queste zone negli anni scorsi. secondo il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'allargamento a Est dell'Unione europea è stato troppo affrettato e «quando sarà chiara l'intensità della crisi nell'Europa centro-orientale, saranno chiare anche le dinamiche che hanno portato a quella crisi». pinione non condivisa da Tito Boeri, economista della Bocconi e fondatore del sito lavoce.info: «Sicuramente c'erano degli aspetti che andavano perfezionati nell'allargamento, ma dire che è stato un errore farlo mi sembra veramente una conclusione troppo forte, anche perché quale sarebbe stata l'alternativa? - ha affermato in un'intervista all'agenzia Apcom. Secondo Boeri, - l'espansione a Est è stata fonte di grande crescita per l'Europa», ma è mancata l'integrazione politica che l'avrebbe dovuta accompagnare.

Di fronte agli umori incerti sui due fronti del continente europeo, la Commissione Ue ha presentato un rapporto che magnifica i vantaggi degli allargamenti del 2004 e del 2007. «Hanno messo fine alla divisione dell'Europa, contribuito a consolidare la democrazia e beneficiato tutti i Paesi Ue in termini di maggiore competitività, crescita e occupazione. Non dovremmo permettere alla crisi di oscurare questo innegabile successo», ha detto il commissario Ue agli Affari economici Joaquin Almunia. «E' molto importante non trasformare l'allargamento in un capro espiatorio di questi problemi economici», ha aggiunto il responsabile Ue del dossier, Olli Rehn.

Intanto si discute sul da farsi, ora. L'Austria, le cui banche sono le più esposte nella regione, ha proposto un piano di "stabilizzazione", che finora ha suscitato pochi entusiasmi a livello europeo, ma che sarà discusso al Consiglio europeo del 1° marzo e al pre-vertice dei Paesi dell'Est che lo precederà in mattinata. Sulla somma necessaria non c'è molta chiarezza: il premier ungherese Ferenc Gyurcsany propone un intervento Ue da 100 miliardi di euro; secondo il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, servirebbero "solo" 40-45 miliardi di dollari. La Commissione
  CONTINUA ...»

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