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Verso il vertice di Bruxelles: gli anelli deboli dell'area euro

di Carlo Bastasin

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28 febbraio 2009

I Paesi dell'euro si troveranno a un drammatico bivio al vertice Ue di domani: da un lato una cooperazione sempre più stretta tra i 16 Paesi, fino a un possibile governo comune dell'economia; dall'altro il rischio di un collasso per l'unione monetaria. Dietro le quinte, da diverse settimane una diplomazia informale sta stringendo le maglie per superare la fase più acuta della crisi globale. Negli ultimi giorni il cancelliere tedesco Angela Merkel ha decisamente preso le redini politiche europee e intende assicurare la tenuta della zona euro.

La debolezza dei Paesi dell'Est non è infatti l'unica preoccupazione in Europa. Nè la più importante. Alcuni indicatori economici europei, quelli che guardano più in avanti, danno segni di stabilizzazione, ma un clima di sfiducia persistente rende fragile la posizione di Grecia e Irlanda: si teme che si dimostrino incapaci di pagare le cedole del debito pubblico o di finanziarsi senza ristrutturare il debito passato. In queste ore sono sotto osservazione soprattutto la posizione della Grecia e alcune scelte discutibili del Governo di Atene. Se dovesse cedere uno solo degli anelli della catena dell'euro, per quanto periferico, il contagio sarebbe difficile da arrestare.
L'interesse a evitare il default di un Paese membro è ora evidente anche al Governo tedesco, un tempo preoccupato dagli oneri finanziari di un salvataggio. Come principale creditore netto nei flussi di capitale interni alla Ue, la Germania – e il suo sistema bancario – sarebbe la principale vittima di un default dei Paesi debitori. L'onere sarebbe molto maggiore di quello di un salvataggio preventivo e potrebbe indurre in default perfino Berlino.

Mercoledì il portavoce della Merkel ha detto chiaramente che la Germania «difenderà in ogni modo la coesione dell'euro e della Ue». Una serie di default metterebbe a rischio infatti non solo l'euro, ma la stabilità economica e politica del continente. L'impegno di Berlino rappresenta una svolta forse decisiva per disinnescare un aggravamento della crisi globale grazie alla consapevolezza, carente fino a pochi giorni fa, dell'interdipendenza economica europea e del comune destino politico. Manca tuttavia nella zona euro un quadro istituzionale definito che consenta di intervenire direttamente nelle scelte dei Governi.

Il vertice Ue di questo fine settimana potrebbe essere l'unico ambito disponibile. Per influenzarne gli esiti, i Governi di Germania e Francia, talvolta insieme a Gran Bretagna e Italia, hanno dato forma a un direttorio di fatto, che deve compensare il vuoto lasciato dalla Commissione. Riunioni del gruppo si tengono ormai settimanalmente, organizzate da un segretariato informale di cui viene negata perfino l'esistenza. L'iniziativa dei grandi Paesi è stata criticata pubblicamente dai più piccoli: Finlandia, Belgio, Svezia e Portogallo nelle ultime ore. Ma l'indeterminatezza politica e normativa europea impone sia decisioni rapide, sia una notevole elasticità istituzionale.
Gli spread sui tassi d'interesse di Grecia, Irlanda e Austria stanno aumentando pericolosamente da mesi. L'Irlanda soffre per la grave recessione che pesa su un disavanzo difficile da finanziare. L'Austria patisce le conseguenze dei legami con l'Est Europa. La Grecia è colpita da entrambi i problemi: ha scarsa determinazione nel correggere gli squilibri della pessima situazione debitoria e una pericolosa esposizione bancaria sui Balcani.

Le difficoltà dell'Est Europa vengono considerate controllabili, essendo le dimensioni delle economie abbastanza ridotte. Applicando l'art 308 del Trattato, la Commissione è in grado di ricorrere all'assistenza per Paesi con difficoltà di bilancia dei pagamenti, come è già avvenuto nei casi di Ungheria e Lettonia attraverso l'emissione di obbligazioni ad hoc. La stessa Bce ha già aiutato Polonia e Ungheria con repo arrangements e messo a disposizione swap arrangements per i Paesi candidati a entrare nell'euro. Mentre è ancora in sospeso la richiesta dei paesi dell'Est di poter accedere al finanziamento della Bce riscontando i titoli denominati in valuta nazionale.
L'assistenza che è possibile fornire all'Est però paradossalmente non può essere offerta ai Paesi dell'euro. Il Trattato stabilisce che nessun Paese della zona euro può essere salvato dagli altri membri. Si tratta della clausola di no-bailout (art. 103), una colonna dell'architettura istituzionale dell'euro, perché rende stringente l'impegno al rigore fissato dal Patto di stabilità. In caso di rischio di fallimento di Grecia o Irlanda si parla però di ricorso all'articolo 100 del Trattato che prevede che il Consiglio disponga assistenza finanziaria a uno Stato membro colpito da severe difficoltà per «condizioni eccezionali estranee al suo controllo».

L'impasse di fronte al quale tutte le proposte di bailout si fermano è il rischio di salvare Paesi che non mettono in atto politiche economiche coerenti. Non si tratta tanto di un problema di moral hazard, cioè di togliere ai Paesi a rischio l'incentivo a curare se stessi ben sapendo che poi saranno salvati dai partner, ma di preservare la credibilità del salvataggio: se il Paese aiutato continua a sbagliare politiche, finisce per rendere vano e non più credibile ogni altro salvataggio.
  CONTINUA ...»

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