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San Suu Kyi, nuova condanna.
Il mondo si mobilita

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11 agosto 2009


La leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi è stata condannata ad altri 18 mesi di arresti domiciliari. La sentenza originaria emessa dal tribunale speciale del regime del Myanmar era stata di tre anni di prigione e lavori forzati, ma il verdetto è stato commutato dal leader della giunta militare del Myanmar, il generale Than Shwe, nella pena più lieve.

Era stata una presunta violazione dei termini della detenzione ai domiciliari che aveva portato ancora una volta la 64enne premio Nobel per la pace di fronte a una corte militare. L'accusa di aver ospitato senza autorizzazione un cittadino americano, John William Yettaw, che aveva raggiunto - di propria iniziativa e per motivi ancora non chiari - la casa di Suu Kyi attraversando a nuoto un corso d'acqua era scattata poco prima che la leader dell'opposizione finisse di scontare l'ultima condanna agli arresti domiciliari. Gli avvocati della difesa ora hanno 60 giorni di tempo per presentare ricorso contro la sentenza di condanna.

Di fatto questa ennesima restrizione - Suu Kyi, che è già stata ricondotta nella sua abitazione, ha trascorso ai domiciliari 14 degli ultimi 20 anni - impedirà all'ultimo primo ministro regolarmente eletto (con quasi il 60% dei consensi: correva l'anno 1990, ma al voto seguì il colpo di stato che ha portato i militari al potere) di partecipare al prossimo appuntamento elettorale, fissato per l'anno prossimo (non c'è ancora una data definita). E questo nonostante le pressioni dell'opinione pubblica mondiale e delle Nazioni Unite. Nel luglio scorso, peraltro, al presidente dell'Onu, Ban Ki-moon, è stato negato il permesso di incontrare Suu Kyi perché sotto processo. Fra le proteste provenienti dai governi di tutto il mondo, gli Stati Uniti hanno chiesto che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, riunito d'emergenza nel pomeriggio, condanni la giunta birmana per aver nuovamente imposto gli arresti domiciliari ad Aung San Suu Kyi. Lo ha annunciato Susan Rice, ambasciatrice di Washington al Palazzo di Vetro, sottolineando che gli Usa «appoggeranno assieme ad altri Paesi una dichiarazione di condanna che chiede la liberazione immediata» del premio Nobel per la pace. Anche il presidente Barack Obama ha dichiarato che «l'arresto e la condanna di Daw Aung San Suu Kyi violano i principi universali dei diritti umani, e vanno contro gli impegni assunti dalla Birmania nell'ambito della carta dell'Asean (l'organismo di cui fanno parte le Nazioni del Sud Est asiatico, ndr) e dimostrano una continuata mancanza di rispetto nei confronti delle dichiarazioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu».

Molto più dura la condanna inflitta a Yettaw: per il 53enne ex militare del Missouri 7 anni di lavori forzati per aver violato il regime di detenzione della leader dell'opposizione. Da allora Yettaw, che soffre di diabete, è dovuto essere più volte ricoverato in ospedale, l'ultima una settimana fa, in preda a convulsioni di tipo epilettico. Ieri era stato dimesso e tradotto nuovamente in carcere.

Il Myanmar, sotto l'ala protettrice del gigante Cina, primo partner commerciale, fa finta di non sentire gli infiniti appelli al ritorno alla democrazia rinnovati dal settembre 2007, quando la "rivoluzione zafferano" guidata dai monaci buddhisti portò migliaia di persone in piazza, ma fu poi soffocata dai rastrellamenti e dalle torture. (Al.An.)

11 agosto 2009
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