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Atene in crisi chiede tempo

dall'inviato Adriana Cerretelli

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Martedí 01 Dicembre 2009

BRUXELLES - «Non chiediamo la luna, solo la sospensione del vostro scetticismo nei confronti della Grecia»: parola più parola meno, questo dirà stasera ai colleghi dell'Eurogruppo George Papaconstantinou, il nuovo ministro delle Finanze del governo socialista di George Papandreou. Per invocare non clemenza ma tempo, più tempo per raddrizzare deficit e debito in crescita libera, nonostante le raccomandazioni Ue dell'aprile scorso ovviamente in direzione opposta.

Non occorre essere dei gran profeti per immaginare che la reazione dei partner non sarà tenera. Nell'immediato non è però prevista nessuna decisione. Stasera ci si limiterà a constatare che «la Grecia non ha preso i provvedimenti concreti per arrestare la deriva dei conti pubblici, come avrebbe dovuto fare entro il 27 ottobre, secondo la raccomandazone Ecofin del 29 aprile scorso. Dopo di che Atene dovrà presentare in gennaio il suo programma di stabilità, Bruxelles una nuova raccomandazione. Il tutto sarà discusso e giudicato da ministri Ue in febbraio.
Soltanto allora si saprà fino a che punto il governo Papandreou è disposto a sfidare l'impopolarità per rimettere ordine nelle finanze e nel paese. E fino a che punto potranno spingersi flessibilità del patto di stabilità e benevolenza dei partner per evitare di imporre alla Grecia un prezzo che non sarebbe in grado di pagare. Con conseguenze potenzialmente disastrose sia per la credibilità del patto sia per la coesione dell'area euro.

In giro c'è molto nervosismo, dentro la commissione, dentro la Bce come nell'Eurogruppo. Fuori, sui mercati, l'altalena degli spread non è un segnale rassicurante. Si torna a sussurrare di rischio default, come più o meno un anno fa, al tempo della grande crisi irlandese. Anche se ieri come oggi Joaquin Almunia interviene per smentire recisamente. «La Grecia di sicuro dovrà pagare di più per finanziare il debito. Ma il rischio di un suo fallimento è vicino allo zero perché può contare sul sostegno dell'Unione europea».

Del resto, dopo essersi fatta troppo desiderare, allora era stata alla fine l'esplicita solidarietà da parte della Germania a calmare i mercati. Anche se la tipologia delle due crisi è diversa. La vulnerabilità dell'Irlanda era ed è dovuta alla sua sovra-esposizione all'industria dei servizi, finanziari in testa, dunque agli assalti della speculazione nel pieno della tempesta 2008. La Grecia soffre invece di problemi strutturali oltre che di un'eccessiva politicizzazione della pubblica amministrazione.

Emblematica la completa inattendibilità dell'ufficio di statistica. Nel 2004, con l'avvento al potere di Nuova Democrazia, si scoprì che le cifre di deficit e debito erano ben maggiori di quelle ufficializzate a Bruxelles, in breve che tre anni prima Atene era entrata nell'euro con i parametri totalmente fuori linea. Adesso, con il nuovo cambio di governo, la sceneggiata si ripete con la scoperta di un deficit del 12,5% contro una stima Ue ancora al 3,7% a inizio anno. Ora rettificato al 12,75 per il 2009, al 12,2 nel 2010, al 12,8 nel 2011. A fronte di un debito del 112,9, 125,7 e 135,4 per cento. Con l'economia che nel frattempo è entrata in recessione.

Visto il peso relativamente marginale della Grecia nel pil di Eurolandia, la sua deriva sarebbe stemperabile senza eccessivi drammi. Non invece il suo impatto politico. Per questo è probabile che alla fine l'Ecofin allungherà dal 2010 attuale almeno al 2012-13 i tempi del rientro dagli squilibri e del varo di riforme strutturali (pensioni, sanità, eccetera). Nonostante tutto non è nell'interesse di nessuno, infatti, fare della Grecia «l'Islanda dell'Egeo».


Martedí 01 Dicembre 2009
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