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1 / Il discorso integrale di Barack Obama a Oslo

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10 dicembre 2009

Vostre maestà, Vostra Altezze Reali, Illustri membri del Comitato norvegese del Nobel, americani e cittadini del mondo:
Ricevo questo onore con profonda gratitudine e grande umiltà. Si tratta di un premio per le nostre maggiori aspirazioni, quelle di non essere meri prigionieri del destino nonostante tutta la crudeltà e le ingiustizie del nostro mondo. Le nostre azioni fanno la differenza, hanno importanza e possono piegare la storia nella direzione della giustizia.

Tuttavia peccherei di superficialità se non prendessi consapevolmente atto della controversia che la vostra generosa decisione ha innescato. In parte ciò dipende dal fatto che sono all'inizio, non alla fine, delle mie fatiche sullo scenario internazionale. Rispetto ad alcuni dei giganti della Storia che hanno ricevuto questo premio - Schweitzer e King; Marshall e Mandela – i risultati da me ottenuti sono minimi. E poi ci sono naturalmente uomini e donne di tutto il mondo imprigionati e picchiati mentre perseguivano la giustizia, coloro che lavorano e tribolano nelle organizzazioni umanitarie per alleviare le pene di quanti soffrono; e milioni di altri esseri umani senza identità le cui azioni coraggiose e compassionevoli senza clamore ispirano anche i più incalliti e induriti dei cinici. Non posso ribattere a coloro che considerano questi uomini e queste donne – alcuni conosciuti, altri ignoti a tutti tranne che a coloro che essi aiutano – più meritevoli di me a ricevere questo premio.

Forse, però, la questione più controversa che riguarda il conferimento di questo premio proprio a me è che io sono Comandante in Capo di una nazione impegnata in ben due guerre. Una di queste guerre sta per volgere al termine. L'altra è un conflitto che l'America non ha voluto: un conflitto nel quale a noi si sono uniti altri 43 Paesi – Norvegia inclusa – nel tentativo di difendere la nostra nazione e tutte le altre da ulteriori attentati.
Malgrado tutto, siamo in guerra e io sono responsabile del dispiegamento di migliaia di giovani americani, incaricati di combattere in una terra lontana. Alcuni di loro uccideranno. Altri saranno uccisi. Pertanto sono qui, oggi, con una consapevolezza precisa di ciò che implica un conflitto armato – e sono pieno di domande e di interrogativi difficili sul rapporto tra guerra e pace, e sui nostri tentativi miranti a sostituire la prima con la seconda.
Questi interrogativi non sono nuovi. La guerra, in una forma o in un'altra, ha fatto la propria comparsa sulla Terra insieme al primo uomo. Agli albori della Storia la sua moralità non fu messa in discussione: era un semplice dato di fatto, come la siccità, o la malattia. Era soltanto il modo col quale le tribù e poi le varie civiltà perseguivano il potere, era un modo per dirimere le loro divergenze.

Col passare del tempo, a mano a mano che i gruppi hanno cercato di tenere a freno la violenza con codici e leggi, anche filosofi, uomini di fede e statisti hanno fatto il possibile per regolamentare il potere distruttivo della guerra. È così andato affermandosi il concetto di "guerra giusta", un concetto che suggeriva che la guerra fosse giustificabile soltanto quando rispettava alcuni requisiti: se a essa si ricorreva in ultima istanza o per difendersi, se la forza utilizzata era proporzionale e se – ogniqualvolta era possibile – i civili erano risparmiati dalle violenze.

Per buona parte della Storia questo concetto di guerra giusta è stato osservato assai di rado. La capacità degli esseri umani di escogitare nuovi modi per uccidersi tra loro si è rivelata inesauribile, come pure la nostra capacità di escludere da qualsiasi gesto di pietà coloro che sembravano diversi o pregavano un Dio diverso. Le guerre tra eserciti hanno lasciato il posto alle guerre tra nazioni: guerre totali nelle quali la distinzione tra combattenti e civili è andata sempre più sfumando. Nell'arco di soli trenta anni, per ben due volte massacri simili hanno sconvolto questo continente. E se è difficile immaginare una causa più giusta di quella che ambiva a sconfiggere il Terzo Reich e le potenze dell'Asse, la seconda guerra mondiale è stata un conflitto nel quale il numero dei civili morti ha superato di gran lunga quello dei soldati morti.
Nella scia di una simile devastazione, con l'avvento dell'èra nucleare, è diventato chiaro a vincitori e vinti in egual misura che il mondo necessitava di istituzioni apposite per scongiurare il rischio di un'altra guerra mondiale. E così, un quarto di secolo dopo che il Senato degli Stati Uniti aveva respinto l'idea di una Lega delle Nazioni – idea per la quale Woodrow Wilson ricevette questo stesso premio – l'America guidò il mondo nella realizzazione di un piano e un'istituzione in grado di mantenere la pace: il Piano Marshall e le Nazioni Unite, meccanismi che hanno il controllo su come si combattono le guerre, trattati che tutelano i diritti umani, evitano i genocidi, pongono limiti e vincoli alle nostre armi più devastanti.

  CONTINUA ...»

10 dicembre 2009
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