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Nel cuore del "vecchio" nucleare in Lituania

dall'inviato Angelo Mincuzzi

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20 gennaio 2010
L'esterno della centrale di Ignalina in Lituania
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Conti: eolico e solare, incentivi per 10 anni. Subito nucleare

Visaginas. L'ascensore sale lentamente dentro l'enorme scatola di cemento grigio. Si ferma al livello 27. Ventisette metri sopra il basamento del reattore nucleare. Siamo nel cuore della centrale, in un ambiente gigantesco che incute soggezione come una cattedrale gotica. Non ci sono colonne, statue o altari ma enormi tubi, spie luminose, scale, ballatoi, scritte in cirillico. Il tetto incombe sulle teste a decine di metri di altezza. Sul pavimento, un grande cerchio di mattonelle di acciaio grigie, verdi, gialle, rosse. Ognuna sorregge una barra di uranio arricchito, il combustibile nucleare, o di grafite.

Questo era il motore che faceva girare un paese intero, che produceva 1.500 megawatt di energia all'ora irradiandola verso Vilnius, Kaunas e tutte le altre città della Lituania attraverso i grossi cavi di acciaio ghiacciati che partono da qui come una enorme ragnatela. Ma la centrale atomica di Ignalina, a un quarto d'ora dalla città di Visaginas e a 170 chilometri dalla capitale, è stata spenta per sempre il 31 dicembre, alle 11 della sera, perché nulla ha potuto contro il peccato originale impresso su questo reattore. Costruita dai sovietici alla fine degli anni 70, la centrale di Ignalina è la copia di quella di Chernobyl. Stessa tecnologia, un progetto leggermente diverso e migliorato dopo il disastro del 1986, ma quel nome – Chernobyl – incute ancora terrore e l'Unione europea ne ha così decretato la chiusura.

Calpestiamo quelle mattonelle che proteggono le barre di combustibile nucleare. Sotto di noi, dieci metri più in basso, l'acqua ribolliva a 300 gradi trasformandosi in vapore e azionava le turbine collocate nella sala a poca distanza da qui. Viktor Shevaldin, 61 anni, il direttore generale di Ignalina, si è ormai rassegnato al suo destino: «Nella centrale lavoravano più di 5mila persone. Oggi ne sono rimaste 2.350. Altre 500 saranno mandate via quest'anno e lo smantellamento dell'impianto sarà completato da quelli che resteranno. Ci vorranno sei anni per eliminare le ultime tracce di materiale radioattivo. Poi la centrale sarà demolita». Sarà un processo lungo, lunghissimo. Occorreranno 24 anni per eliminare l'ultima pietra di Ignalina. Le scorie nucleari saranno stoccate in un deposito qui vicino dove saranno custodite per cinquant'anni al massimo, in attesa di trovare il luogo di destinazione definitivo dove dormiranno per migliaia di anni. Ma quel deposito ancora non c'è.

Ignalina è un residuo di un'epoca che non esiste più. I sovietici volevano costruire tre reattori in questo impianto. Riuscirono a finirne due, poi il disastro di Chernobyl cambiò tutto. Il terzo reattore, che era stato appena iniziato, fu subito abbattuto. Shevaldin ricorda un pezzo della sua storia personale: «Sono arrivato qui nel 1982, dopo aver diretto per undici anni la centrale nucleare di Leningrado. Ma devo dire che Ignalina non è una centrale pericolosa. La probabilità di un incidente nucleare è pari a quella di essere centrati da un meteorite mentre si cammina per strada. Una seconda Chernobyl non è possibile. E poi, in Russia ci sono altre 11 centrali simili a questa che continueranno a funzionare fino al 2030».

Percorriamo i lunghi corridoi con le pareti tinteggiate di color pastello verde, rosa o azzurro. Tubi di diverse grandezze corrono lungo il soffitto. Incrociamo gli operai dell'impianto vestiti come chirurghi in una sala operatoria. L'unica lingua che parlano è il russo perché qui quasi tutti arrivano dalle vecchie repubbliche dell'Unione sovietica. E quasi nessuno ha imparato il lituano.

Prima di uscire uno scanner ci analizza per verificare il livello di radioattività. All'ingresso gli ordini erano stati tassativi: via tutti i vestiti, sulla pelle solo pantaloni e camicia di stoffa bianca con le apposite scarpe, bianche anche loro, facendo attenzione a non toccare mai il pavimento con i piedi. La centrale è spenta, ma la radioattività, la morte invisibile, può essere sempre in agguato.

Fuori il gelo penetra nelle ossa, il ghiaccio imbianca ogni cosa. La Lituania progetta di sostituire la centrale di Ignalina con un altro impianto atomico a qualche decina di chilometri da qui. Un progetto al quale dovrebbero partecipare anche Estonia, Lettonia e Polonia. Ma per ora non c'è nulla di concreto. Nessuno dei lavoratori di Ignalina, però, troverà posto nel nuovo impianto: nessuno parla l'inglese, nessuno conosce la tecnologia occidentale. Sono fermi a trent'anni fa, quando questa era Unione sovietica e l'occidente era il nemico. Ignalina è spenta. Per sempre.

Ma prima di morire definitivamente dovrà subire un ultimo affronto. Shevaldin lo sintetizza così, sapendo di aver ucciso quasi una sua creatura ubbidendo all'ordine di staccare la spina: «Eravamo il maggiore produttore di energia in Europa. E oggi per portare avanti i lavori di smantellamento della centrale siamo costretti ad acquistarla l'energia che ci serve». Una vera beffa. Ma lo spettro di Chernobyl richiedeva anche questo sacrificio.

20 gennaio 2010
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