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«Popolo ebraico fratello maggiore»,
così Berlusconi commuove la Knesset

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3 febbraio 2010

Un discorso da amico a tutto tondo, una dichiarazione incondizionata di stima e ammirazione per Israele, «vera democrazia, il cui posto è nell'Unione europea», e il suo ruolo in Medio Oriente. Appoggio totale contro la minaccia nucleare iraniana. Dodici interruzioni da applausi e standing ovation finale.

Così Silvio Berlusconi nella sua missione a Gerusalemme, che ha avuto il suo momento clou nel discorso alla Knesset, il parlamento, primo fra i presidenti del Consiglio italiani. L'Iran, dunque. «In una situazione che può aprirsi alla prospettiva di nuove catastrofi, l'intera comunità internazionale deve decidersi a stabilire, con parole chiare, univoche e unanimi, che non è accettabile l'armamento atomico a disposizione di uno stato i cui leaders hanno proclamato apertamente la volontà di distruggere Israele ed hanno negato insieme la Shoah e la legittimità dello stato ebraico».

Il premier italiano è tornato a parlare di «sanzioni efficaci». «Certo - ha però aggiunto - non si deve respingere alcun segnale di buona volontà da parte iraniana, ma occorre dire apertamente che gli sforzi di dialogo non possono essere frustrati dalla logica dell'inganno e della perdita di tempo». Quanto ai rapporti con la Palestina, il capo del Governo ha sostenuto che Israele ha opposto «una giusta reazione» ai missili di Hamas da Gaza. Berlusconi ha ricordato come Israele sia sempre sotto attacco anche con «l'ondata terroristica della seconda intifada».

Il popolo ebraico è per noi un «fratello maggiore», ha detto poi il presidente del Consiglio. Parole che, come ha spiegato lo stesso premier, sono citazioni sia di Papa Giovanni Paolo II che del rabbino Elio Toaff. «Le origini della nostra amicizia, della nostra fratellanza, sono in una comunanza di civiltà e di destino, in un comune amore - ha osservato - per la comprensione e la convivenza pacifica tra i popoli della terra». «Voi rappresentate ideali che sono universali, siete il più grande esempio di democrazia e di libertà nel Medio Oriente, se non l'unico esempio. Un esempio che ha radici profonde nella Bibbia e nell'ideale sionista».

Profonda commozione in aul per l'episodio su mamma Rosa Berlusconi, ricordato dal premier israeliano Benyamin Netanyahu. Accedde durante la seconda guerra mondiale, quando una signora italiana, incinta di otto mesi, ha raccontato Netanyahu, riuscì a salvare una ragazza ebrea da un poliziotto tedesco: «Quella signora coraggiosa si chiamava Rosa e uno dei suoi figli si chiama Silvio Berlusconi», ha scandito tra gli applausi il primo ministro israeliano.

Dopo i colloqui avuti in Israele, il premier ha incontrato il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Da parte di Israele c'è una «vera, forte, decisa volontà di cominciare negoziati di pace», è stato il messaggio portato a Betlemme da Silvio Berlusconi. «Il fermo dell'espansione degli insediamenti da parte di Israele», ha ribadito, è una «condizione necessaria» per «avviare i negoziati in modo proficuo». E a proposito dell'operazione 'Piombo Fuso' dell'esercito israeliano nella striscia ha precisato: «come è stato giusto piangere le vittime della Shoah così è giusto manifestare dolore per quanto è successo a Gaza». «Sempre, quando alla pace si sostituisce la guerra, alla ragionevolezza si sostituisce la violenza, viene meno l'umanità ed il rapporto tra gli uomini», ha aggiunto Berlusconi.

Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese ha sottolineato che arrivare alla soluzione della questione palestinese con «la creazione di due Stati è urgente, nell'interesse dell'intera regione e del mondo» e bisogna mettere in campo «ogni sforzo». Abu Mazen ha colto l'occasione per uno speciale ringraziamento a Berlusconi per il «suo interessamento perenne per la ricerca di una soluzione alla questione palestinese».

Il premier, parlando con i cronisti ha detto di non aver fatto caso al muro costruito da Israele in Cisgiordania al confine con i territori. «Non me ne sono accorto - ha risposto - in quanto stavo prendendo appunti sulle cose che avrei dovuto dire al presidente. So di deluderla - si è rivolto Berlusconi al giornalista che gli aveva posto la domanda - e me ne scuso».

3 febbraio 2010
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