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Le nanotecnologie al servizio dei soldati del futuro

di Federico Rendina

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15 FEBBRAIO 2010
Protesi realizzate dalla Darpa per il ripristino dell'uso delle articolazioni (Fonte www.darpa.mil)

John è un soldato. Un soldato comunque fortunato. Diventerà presto famoso. Glielo promette la Darpa, l'agenzia del governo americano per le tecnologie belliche. Se John sarà ferito forse morirà, ma non soffrirà. E se non morirà avrà 96 ore di anestesia automatica. Non dovrà neanche stringere i denti. Dovrà soltanto attendere i soccorsi. Li chiamerà automaticamente il radiosensore gps impiantato sottopelle. Lo stesso che avrà attivato la capsula che contiene quel benedetto preparato antidolore. Certo, John dovrà forse rinunciare, in quelle 96 ore, a quel po' di fisicità bellica per la quale è stato comunque allenato. Ma nel frattempo, se vorrà, continuerà a essere utile. Con il suo elmetto telematico potrà comandare quel drone che da lassù esplora obiettivi militari, campi minati, nascondigli di presunti terroristi. John contribuirà, invalido, magari morente, all'utile lavoro dei suoi compagni. Salvandone magari qualcuno a distanza, così da onorare la grande promessa conclamata dai tecno-signori della guerra: scontri di macchine, aerei e elicotteri pilotati a distanza, soldati il più possibile in salvo. Incidenti, come il suo, a parte.

John, del resto, non aveva neanche sentito la fatica, la normale fatica di tutti noi esseri umani durante le sue supertecnologiche missioni quotidiane. Grazie alla neurofarmacologia, ovvero ai «prodotti farmaceutici che influenzano l'equilibrio chimico del sistema nervoso del cervello» e che permettono tra l'altro di «resistere al sonno senza una degradazione delle capacità fisiche e psichiche» garantendo «il miglioramento della memoria o il superamento degli stress psicologici del combattimento».

Problemi etici? Se ne è discusso. Il verdetto? Tutto a posto. L'intreccio tra chimica e bioimpiantistica intrisa nel corpo e nella mente di John è "compatibile". Non è stato così per l'altra grande meraviglia. Un vero peccato che «la bomba gay, a base di afrodisiaci» già sperimentata sul campo, per «influenzare i soldati in combattimento» sia stata bloccata dall'Air Force Usa «quando era ormai giunta a un ottimo livello di avanzamento». Fantasia? Tutto vero.
  CONTINUA ...»


Biologia genetica, neuroscienze e guerra delle menti, nanotecnologie impiantate nella pelle e nel cervello. Altro che computer come propaggini dei nuovi armamenti. Ecco un'analisi minuziosa di quello che bolle nella pentola tecnologica (etica? morale?) dell'agenzia bellica americana. Tutto svelato, fin nei dettagli, in un paper sulle "Nuove tecnologie militari" presentato dal massimo esperto italiano di strategie applicate alla geopolitica: il generale Carlo Jean. Un generale vero, nell'aspetto e nei modi. Ben considerato dalle nostre istituzioni, tanto da vantare nel suo curriculum incarichi delicati, come quello della supervisione di tutto ciò che nel nostro paese ha a che fare con l'atomo.

Jean ha presentato il suo paper all'ultima conferenza internazionale dell'Aspen Institute, dove i selezionatissimi membri parlano a porte chiuse e quindi senza troppi peli sulla lingua. Ecco allora l'analisi senza pudori di come gli americani della Darpa intenderebbero usare le neuroscienze per allestire la macchina bellica del futuro. Qualcosa si fa ammirare. Qualcosa fa un po' tremare. Mirabile, nel senso letterale del termine, il binocolo che riesce individuare i dettagli di una sagoma umana a 10 chilometri. Può servire per impallinare il malcapitato, ma anche a salvare la pelle dal fuoco amico. E c'è qualcosa che ci strappa perfino un sorriso. La Darpa (che sta per "Defense Advanced Research Projects Agency") si spinge fino al trascendente: in Iraq ha incoraggiato gli esperimenti di chi, ciarlatano o no, vuol stendere un essere vivente con la sola forza del pensiero. Il cinema già ne gode con qual mattacchione di George Clooney, con il suo "Uomo che fissa le capre". Spaccato ridanciano, per quanto è possibile, della guerra in Iraq.

Coreografia e ammirazione per binocoli e presunti pensieri fulminanti. Qualche problema in più, magari in nome dell'etica (lo ammette, tra le righe, anche il nostro generale Jean) per tutto il resto. Come la mettiamo con la possibilità – «reale» dice Jean – di collegare il superbinocolo direttamente al cervello? Tremori etici a parte «con il monitoraggio neuronico» il soldato «potrà riconoscere bersagli e avvertire minacce» ben prima, superando le normali barriere della mediazione cerebrale». Tant'è che secondo l'Istituto Potomac - fa sapere Jean – il binocolo impiantato nel cervello «renderà possibile un miglioramento della corteccia prefrontale del soldato di entità pari a quella realizzatasi, con l'evoluzione della specie, in milioni di anni». Dieci anni e saranno disponibili i prototipi da assegnare (è deciso fin d'ora) alle Forze Speciali americane.

E guai a non considerare gli «enormi progressi compiuti e sono tuttora in corso nella biologia sintetica, che crea biosistemi artificiali, in particolare nell'ingegneria neuronica che costruisce modelli computerizzati del funzionamento della mente». Grazie a questo, agli interventi chimico-farmacologici e alle nanotecnologie, ovvero alla capacità di manipolare entità di dimensione inferiore al miliardesimo di metro assemblando in pratica le singole molecole «l'interfaccia uomo macchina potrà avere sviluppi inimmaginabili».

15 FEBBRAIO 2010
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