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La battaglia di Yana l'incorruttibile

dall'inviato Antonella Scott

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24 Marzo 2010
La battaglia di Yana l'incorruttibile . Nella foto Yana Yakovleva

Sette mesi in prigione. Sette mesi in una cella insieme ad altre 46 donne «come animali in uno zoo». Senza ricevere una visita dai familiari, senza fare una telefonata. Sette mesi, senza avere alcuna colpa. È possibile uscirne senza farsi schiacciare, senza perdere la voglia di fare jogging la mattina sulle rive della Moscova ghiacciata o di studiare l'italiano «perché sembra una musica». Soprattutto, è possibile uscirne prendendosi sulle spalle una missione: aiutare le migliaia di imprenditori russi detenuti in attesa di processo per reati economici. In maggioranza innocenti.

Lei vuole che la sua storia serva da esempio. Yana Yakovleva, 38 anni, è direttore finanziario di una piccola impresa, Sofex, distributore e produttore di sostanze chimiche a uso industriale. «Non certo gran soldi - osserva - non avremmo mai pensato che qualcuno potesse interessarsi a noi». E invece un bel giorno del 2006 la polizia anti-droga bussa alla porta, per due volte propone affari illeciti: esportare in Tagikistan sostanze da utilizzare nella produzione di eroina, oppure ottenere licenze di commercio esclusive, per poi dividere i guadagni.

Yana e il suo partner Aleksej Prozkij rifiutano. Li arrestano dopo due settimane, lei sta uscendo dalla palestra. L'accusa è aver commercializzato etere etilico senza avere la licenza per prodotti farmaceutici. Una licenza che non è necessaria in realtà, se si documenta a chi è stato venduto il solvente e a che scopo, ma al giudice istruttore non interessa: il caso è aperto.

«È più facile vincere alla roulette russa che farsi assolvere da un'accusa fabbricata artificialmente», dice Evghenij Chernousov, l'avvocato di Yana divenuto famoso per aver fatto scagionare qualche anno fa un veterinario, un caso che avrebbe sicuramente ispirato Bulgakov: l'accusa era di aver venduto farmaci a un gatto.

Ora Yana lo ricorda e ride, ma centra il cuore del problema quando spiega come tutto questo sia possibile perché in Russia la formulazione delle leggi sui crimini economici è talmente vaga da poter essere piegata a piacimento da polizia, giudici e inquirenti. La minaccia del carcere, poi le terribili condizioni di vita dei detenuti in attesa di giudizio - che in novembre hanno condotto alla morte Serghej Magnitskij, legale del fondo di investimento Hermitage - sono un mezzo di pressione per ottenere collaborazione, per estorcere denaro o impadronirsi dell'attività della vittima: «La corruzione si insinua all'interno della legge», chiarisce Yana. Un milione sono le persone rinchiuse nelle prigioni russe, più di 200mila - si stima - per reati economici. Quasi nessuno viene assolto (la percentuale è meno dell'1%), in Russia la presunzione di innocenza non esiste: «Se ti arrestano, sei colpevole», dice Elena Liptser, avvocato del socio di Mikhail Khodorkovskij a Yukos, Platon Lebedev.

"Sizo", il sistema carcerario per la detenzione preventiva, è una delle sigle che ancora incutono terrore in Russia, un incubo che inghiotte indifferentemente persone normali e criminali pericolosi. Yana è nel carcere femminile di Mosca n.6. La tragedia più grande per lei è il muro che improvvisamente cala sulla tua vita, separandoti dai tuoi cari. L'unico legame sono le lettere, Posta non elettronica è un libro che raccoglie tutto quanto Yana ha trasmesso ai suoi, scrivendo. «Quando mi sono trovata sulla soglia della cella - ricorda - mi ha assalito il terrore di dover affrontare un mondo criminale come ce lo immaginiamo nei film. E invece ho visto 46 giovane donne - avvocati, contabili, imprenditrici che con tutte le forze tentavano di adattarsi all'assurdità che stava accadendo». Intorno a te «gente, gente, gente, ciascuno in una situazione mentale difficile, mariti fuori, figli...era orribile».

Yana ha imparato che i ricordi possono diventare sopportabili, man mano che passa il tempo: «La nostra cella mi sembrava un seminario di business, organizzato per qualche assurdo proposito tra i letti a castello di un vagone di terza classe...di un treno che va verso il nulla». La maggior parte delle compagne di cella non erano criminali, ma vittime di conflitti aziendali sfruttati dalle forze dell'ordine: «La cosa più terribile è quando sotto la macina finisce un piccolo imprenditore. Cosa può fare contro il Sistema il direttore di una farmacia?».

Per Yana la salvezza è stata il padre, ingegnere aeronautico. «Tutti gli dicevano che sarei rimasta in carcere anni, di vendere pure la mia casa e l'automobile - ricorda Yana, che all'epoca aveva 35 anni - ma lui si era convinto che la sola via d'uscita fosse rendere pubblica la mia storia, far sapere alla gente con quale facilità una persona normale può finire in prigione». Nessuno lo ascoltava, all'inizio, ma a poco a poco i giornali presero a occuparsi dell'"affare dei chimici", altre aziende del settore si mobilitarono, si cominciò a raccogliere firme e a chiedere la liberazione di Yana in piazza Pushkin, nel centro di Mosca. Con la stessa facilità con cui una legge era stata distorta, un'altra spuntò fuori, un emendamento che escludeva l'etere etilico dall'elenco delle sostanze classificate come farmaci. Nessuno scagionò Yana, le dissero soltanto: «La legge è cambiata, puoi andare».

  CONTINUA ...»

24 Marzo 2010
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