Il nuovo gensek ha ricevuto la pesantissima eredità di Brezhnev (1964-1982).
L’economia entrata in una fase di stagnazione economica. Ritardo tecnologico. Recessione in settori chiave (petrolio).
Riformarla è il compito più arduo, in presenza sia di dogmi ideologici (proprietà e gestione statale di tutti i mezzi di produzione e di scambio, prezzi regolamentati, piena occupazione), sia del potere e gli interessi dell’apparato politico-amministrativo-gestionale.
I punti di riferimento sono pochi. La riforma Kosygin del 1965, presto bloccata: doveva introdurre nelle imprese il khozrashot ovvero il “calcolo economico”, l’autofinanziamento, limitando - come vuole ora Gorbaciov - potere e diktat del Piano di stato (Gosplan). E la Nuova Politica Economica (Nep), con cui Lenin nel 1921 impose il ritorno all’iniziativa privata e al mercato nelle campagne, nel commercio e nelle piccole e medie aziende, per superare i disastri del “comunismo di guerra”. Stalin la liquidò, alla fine degli anni Venti.
Le scienze economiche e sociali si sono risvegliate da un pluridecennale sonno dogmatico nei primi anni Ottanta. Specie tra gli economisti e i sociologi della sezione siberiana dell’Accademia delle scienze, i cui rilievi sulla crisi dei fattori di produzione arrivano fino al vertice del Partito.
Riformare l’economia, senza scontrarsi con l’ ideologia, i suoi guardiani e il potere degli apparati è trovare la quadratura del cerchio.
Nei suoi sei anni di leadership, Gorbaciov opera empiricamente, spinto delle urgenze contingenti più che guidato da un pensiero e un disegno ben definiti. Naviga a vista. Varia di continuo strategie, misure, piani. Destabilizza.
Dai primi Plenum del Comitato centrale del 1985 fino al XXVII Congresso del Pcus (febbraio 1986), Gorbaciov fa dell’ accelerazione (uskorenie) del progresso tecnico scientifico, della crescita e dell’ammodernamento industriale l’idea chiave della perestrojka, che in russo significa “ricostruzione”, “ristrutturazione”.
Più che di accelerare, tuttavia, si tratta di rimettere in moto un meccanismo obsoleto e inceppato, non più in grado di affrontare la competizione con un Occidente in costante crescita economica e tecnologica. Mentre l’Urss resta fuori dalla rivoluzione informatica.
Si deve ammodernare il capitale fisso, ridurre i costi, i consumi (e gli sprechi) di energia e materie prime. Si devono far finalmente “ricadere” nell’industria civile i progressi tecno-scientifici realizzati nei compartimenti-stagno dell’industria bellica e spaziale sovietica. Si promette di sviluppare industria e agricoltura per venire incontro ai bisogni, fin troppo sacrificati, dei cittadini-consumatori. Si deve ridurre l’ormai insostenibile spesa militare con una nuova politica estera volta alla riduzione degli armamenti. Che militari e conservatori osteggiano.
Le prime misure di Gorbaciov sono due leggi. Quella antialcolica (maggio 1985), che dovrebbe tagliare il distruttivo consumo di alcolici e riportare la disciplina nei luoghi di lavoro, ma che è impopolare e crea una voragine nel bilancio, alimenta contrabbando e criminalità.
E quella che impone alle industrie civili la gospriomka , ovvero l’”accettazione statale” prima praticata solo nelle industrie del Complesso industriale-militare (Vpk): commissioni statali verificano se la produzione risponde a determinati parametri di qualità. Scartano la produzione scadente (in certi casi fino al 10-20%). Una perdita secca per l’azienda colpita, che si riflette negativamente su salari, premi, investimenti e occupazione. Scontenta dirigenti, quadri e operai.
I risultati dell’uskorenie e della gospriomka non sono soddisfacenti. La crescita è più che modesta.
Seconda fase. Tra il 1987 e il 1988 la perestrojka diviene sinonimo di ristrutturazione generale dei meccanismi economici.
Le imprese industriali passano, in due tempi, all’autofinanziamento, quello della mancata riforma Kosygin. Il pribyl’ , il profitto, diviene il principale indicatore dell’ efficienza d’impresa, cui rapportare investimenti, salari, premi, occupazione.
L’autofinanziamento è ostacolato e sabotato dagli apparati gestionali. Ma quel che lo mina in radice è il fatto che non si vuole cambiare il regime dei prezzi regolamentati e di quelli sovvenzionati.
All’”iniziativa individuale” Gorbaciov apre presto nel novembre 1986. Pochi mesi dopo la tragedia di Chernobyl’, che fa crollare la produzione d’elettricità e interrompe lo sviluppo dell’industria termonucleare.
La autorizza solo per piccoli lavori artigianali, riparazioni, lezioni private, taxi, ristorazione, caffè. Più per sopperire alle carenze di certi beni e servizi, che per avviare una seconda Nep.
Nel maggio 1988 con la “legge sulla cooperazione”, “l’iniziativa individuale” è estesa alle costruzioni (garage, rimesse,abitazioni) e all’agricoltura.
Kolchozy e sovkhozy sono autorizzati a dare in affitto (arenda) a famiglie e/o cooperative di propri contadini limitate estensioni di terra. Un anno dopo si fisserà in 50 anni la durata dell’affittanza. E’ l’unica misura che si ispiri al ben più meditato riformismo di Deng Xiaoping in Cina.
Gorbaciov autorizza anche joint ventures con società occidentali. Una via per ottenere nuove tecnologie e investimenti (in calo).
Nel triennio 1988-1990 l’Urss entra nella recessione, mentre cresce la cosiddetta economia dell’ombra, tra mercato nero e nuova criminalità.
Oltre agli intralci degli apparati, le riforme incontrano l’ ostilità dei lavoratori. Si sono visti aumentare responsabilità, carichi di lavoro, rischi di disoccupazione, mobilità. Ma non vedono mantenute le promesse gorbacioviane di una maggiore offerta di beni di largo consumo e di prima necessità. Offerta che dai magaziny statali, che si svuotano, si sposta al mercato nero controllato da vecchie e nuove mafie della distribuzione, a prezzi moltiplicati e spesso da pagare in dollari.
Al tempo stesso, si accordano continui aumenti salariali, sganciati dalla produttività, per limitare il malcontento e gli scioperi operai (settori del carbone, petrolio).
Il rublo perde quota. Esplode l’inflazione.
Una legge del 1989, grande novità, autorizza le aziende a concedere in affitto (arenda) reparti e macchinari a propri operai e quadri che lo richiedano. E’ una premessa delle privatizzazioni del periodo post sovietico.
Tra il 1989 e il 1990 si incoraggiano organizzazioni del Komsomol (Gioventù comunista) a promuovere cooperative di servizi, borse merci e gli Istituti di ricerca scientifica (Nii) a fare contratti con le aziende per la vendita di loro progetti innovativi. Si autorizzano importazioni di beni rari in Urss (Pc, videoregistratori). Si aprono banche private, scarsella di questa o quella azienda o cooperativa. Nascono società commerciali come Menatep, fondata dal komsomolets Mikhajl Khodorkovskij, futuro oligarca. Si esportano illegalmente partite di materie prime. Alla Tv compare la pubblicità.
Le nuove riforme economiche, caotiche, si intrecciano con l’acutizzarsi della lotta politica. Con la disgregazione dei vincoli politici, legislativi ed economici tra le repubbliche dell’Unione, in cui si fanno strada, a volte in modo cruento, le spinte autonomiste e indipendentiste. Con inauditi protezionismi.
Nel luglio 1990, al XXVIII - ed ultimo- congresso del Pcus, la perestrojka dal significato di ristrutturazione del sistema passa ad indicarne la fuoriuscita.
Gorbaciov chiude con l’utopia di Marx e di Lenin. Si progetta il passaggio all’economia mista, con la liberalizzazione dei prezzi e il mercato.
In meno di un anno (1990-91) si susseguono ben quattro piani di riforma, moderati e radicali (come il “Piano dei 500 giorni” degli economisti Shatalin e Javlinskij, che postula rapide privatizzazioni e passaggio al mercato, in atto già nella Polonia e Cecoslovacchia, da un anno sottrattesi al dominio di Mosca. Crollano produzioni fondamentali (petrolio, agricoltura). Crescono vieppiù inflazione e penuria. Si paventano (esagerando) carestia e fame.
Gorbaciov, sempre più ondivago, chiede forti crediti al G7 di Londra che li rifiuta (luglio 1991). Propende per soluzioni di compromesso. Come l’ultimo dei piani di riforma, quello del nuovo premier Pavlov (maggio 1991). Prevede privatizzazioni graduali, a partire dalle piccole imprese, indicizzazione dei salari e moratoria sul diritto di sciopero.
Ma è troppo tardi. Il fallito golpe di agosto spazza via l’Urss. E lascia alle nuove repubbliche indipendenti il compito di passare dal socialismo reale al mercato. Mentre Gorbaciov, dopo agosto, perde ogni potere.