Le sfide italiane alla Coppa America


Azzurra 1983: l'Italia nella vela, dopo il pallone
La vittoria della nazionale di Bearzot al mondiale spagnolo è un ricordo ancora fresco, quando Azzurra inaugura l'avventura italiana in Coppa America. È il giugno 1983 a Newport: a quasi un anno dall'urlo di Tardelli, il pubblico nostrano scopre la vela e una nuova nazionale, questa volta di marinai, capeggiati dallo skipper Cino Ricci e dal timoniere Mauro Pelaschier. Azzurra partecipa alla prima edizione della Vuitton Cup, che deve selezionare lo sfidante per il trofeo velico più antico e ambito a livello internazionale. Tutto era nato nel 1980, al termine della Sardinia Cup, per volontà del navigatore italiano Cino Ricci e altri membri dello Yacht Club Costa Smeralda. L'idea di partecipare alle regate negli Stati Uniti trovò il sostegno di ben 17 aziende, oltre che di Gianni Agnelli e il principe Karim Aga Khan.

Azzurra scende in acqua il 19 luglio 1982 a Pesaro, dopo cinque mesi di lavoro. La barca Enterprise, costruita negli Usa per la sfida del '77, è servita come termine di confronto, per il disegno dello scafo (firmato da Andrea Vallicelli e dal suo team) e gli allenamenti dell'equipaggio. Nonostante l'esordio assoluto di un sindacato italiano in Coppa America, Azzurra vince 24 regate su 49 disputate nella Vuitton Cup. Riesce a battere, nel secondo girone eliminatorio, anche Australia II, la barca che poi conquista la Coppa America, lasciando con l'amaro in bocca l'incredulo Dennis Conner. Azzurra si arrende alle semifinali, classificandosi terza, proprio dietro Australia II e Victory 83. L'avventura prosegue con due consorzi in lizza nel 1987 a Fremantle, in Australia. I risultati sono deludenti: Azzurra II termina undicesima su tredici sfidanti, mentre Italia (Yacht Club Italiano di Genova), timonata da Tommaso Chieffi, arriva settima.

Il Moro di Venezia e i baffi di Paul Cayard
Alzi la mano chi non si ricorda i baffi di Paul Cayard e il suo sguardo sornione, mentre timonava il Moro di Venezia. La barca voluta dall'imprenditore Raul Gardini tenne col fiato sospeso il pubblico italiano, durante le regate della Vuitton Cup, grazie alle dirette televisive da San Diego. Gardini, presidente della Montedison, lancia la sfida per la Coppa America del 1992 al San Diego Yacht Club, in nome del circolo veneziano Compagnia della vela. È deciso a recitare la parte del leone e si rivolge a due volti conosciuti. Il primo è il progettista argentino German Frers, che ha firmato altri yacht di Gardini. Il secondo è il timoniere di San Francisco Paul Cayard, che ha già gareggiato per conto dell'uomo d'affari italiano. Il Moro I è varato l'undici marzo 1990 nel cuore di Venezia, durante una fastosa cerimonia con scenografie del regista Franco Zeffirelli.

La flotta del Moro, alla vigilia della Vuitton Cup del 1992, può contare sui cinque scafi disegnati da Frers e realizzati nel cantiere di Porto Marghera. Il team sceglie il Moro V, l'ultimo della serie. Cayard ha pochi avversari in grado di sconfiggerlo sulla barca veneziana: così approda in finale contro New Zealand, grazie a 21 vittorie in 30 regate. Dopo cinque match, però, il suo rivale Rod Davis è in vantaggio per 4-1. L'astuzia di Cayard trova un appiglio, proprio quando manca un solo punto alla sconfitta e sembra destinato a tornare a casa con la coda tra le gambe. L'americano protesta con la giuria per una presunta irregolarità del bompresso dei neozelandesi. I giudici danno ragione a Cayard, annullando l'ultima prova e riportando la situazione sul 3-1 per i kiwi. A quel punto, il Moro vince le restanti regate, chiudendo la partita sul 5-3. A nulla vale il cambio al timone di New Zealand, con Russel Coutts al posto di Rod Davis: Cayard conquista la Vuitton Cup. Il sogno non si ripete contro il defender America 3 del miliardario americano Bill Koch, con "Buddy" Melges al timone: finisce 4-1 per la bandiera a stelle e strisce. La Coppa America rimane così nella bacheca del San Diego Yacht Club.

Luna Rossa, un proiettile d'argento nel golfo di Hauraki
Patrizio Bertelli pensava a una comoda barca da crociera, quella sera del 3 febbraio 1997 nello studio di German Frers a Milano, mentre discuteva col progettista argentino (l'autore del Moro di Venezia). Alla fine si lascia contagiare dalla passione agonistica e si butta come un mastino nel titanico mondo della Coppa America, che sta nella bacheca del Royal New Zealand Yacht Squadron. Bertelli, amministratore delegato del gruppo Prada (che appartiene alla moglie, Miuccia Prada), mette a disposizione un budget di tutto rispetto: 90 miliardi delle vecchie lire. Nei mesi successivi, assolda il designer Doug Peterson, il timoniere napoletano Francesco de Angelis, il tattico brasiliano Torben Grael e altri campioni per il suo equipaggio. Bertelli acquista tre barche del magnate americano Bill Koch (America, Mighty Mary e Kanza), per iniziare gli allenamenti. La base del team diventa lo Yacht Club Punta Ala, in Toscana, anche se nell'estate australe gli uomini si trasferiscono ad Auckland, in Nuova Zelanda.

Il capostipite della generazione Luna Rossa è lo scafo ITA 45, varato a Punta Ala il 5 maggio 1999. È questa la barca che affronta le regate decisive della Vuitton Cup 2000 (tranne alcuni match disputati con la sorella ITA 48), meritandosi il soprannome di "silver bullet", proiettile d'argento. De Angelis conduce Luna Rossa in finale, dove sconfigge in un tiratissimo 5-4 America One di Paul Cayard. Così un italiano, per la prima volta, può giocarsi la Coppa America. La magia nera dei neozelandesi, però, si rivela superiore alla scaramanzia napoletana di de Angelis: Black Magic di Russel Coutts annienta per 5-0 l'astro calante di Luna Rossa e conserva il trofeo nella terra dei Maori.

Lascia o raddoppia? Bertelli rischia tutto ma Luna Rossa fa i capricci
Bertelli incassa la sconfitta e rilancia immediatamente la sfida per l'edizione 2003. Il team Prada diventa "Challenger of record", vale a dire il rappresentante di tutti gli sfidanti, che stabilisce con il defender le regole della competizione. Arrivano due nuove barche: ITA 74 e ITA 80. Luna Rossa, però, è solo una pallida imitazione del proiettile d'argento che ha infiammato il golfo di Hauraki nel 2000. Dopo quattro successi e altrettante sconfitte nel primo girone, i progettisti modificano in modo sostanziale la prua. Nel secondo girone, Luna Rossa vince sette regate su otto, qualificandosi ai quarti, dove incontra la barca svizzera Alinghi, futura vincitrice della coppa. Sul 3-0 per gli elvetici, de Angelis decide di ritirarsi a perfezionare la capricciosa ITA 74, in vista del ripescaggio. L'idea sembra buona: Luna Rossa elimina gli svedesi di Victory e si trova in semifinale con One World, che però vince per 3-2. De Angelis non può recuperare, perché il forte vento impedisce di completare le regate in programma.

Non c'è un due senza tre: Bertelli è ormai stregato dal sogno della Coppa America e continua a puntare su Luna Rossa per l'edizione 2007, attraverso lo Yacht Club Italiano di Genova. De Angelis diventa capo del team. Al marchio Prada si affianca un nuovo sponsor, il gruppo Telecom Italia. La squadra italiana è la prima a fare rotta su Valencia, nel febbraio 2004. L'australiano James Spithill, campione del mondo match race nel 2005, è il nuovo timoniere. Dal cantiere escono due barche: prima ITA 86, poi ITA 94, entrambe nere. A Valencia diventeranno "black bullet"?

Arrivano i Mascalzoni di Vincenzo Onorato
L'obiettivo è uno solo: fare esperienza e divertirsi. Vincenzo Onorato, proprietario della Moby Lines e skipper, non si fa troppe illusioni per il suo Mascalzone Latino, arrivato ad Auckland per partecipare alla Vuitton Cup che inizia nel 2002. L'armatore napoletano è alla prima campagna di Coppa America, per conto del Reale Yacht Club Canottieri Savoia del capoluogo partenopeo. Lo sponsor principale è Tim. L'equipaggio è tutto italiano, a cominciare da Onorato nel ruolo di skipper, dal timoniere Paolo Cian e dal tattico Flavio Favini. La preparazione inizia su Bravo España (ESP 47), nell'attesa dell'unico scafo nuovo, ITA 75, presentato alla vigilia della Vuitton Cup. Il cammino di Mascalzone si ferma dopo i due Round Robin: è ultimo a pari merito con la barca francese Le Défi. I transalpini sconfiggono i napoletani nella regata di spareggio, valida per l'accesso ai quarti.

Onorato rilancia le sue ambizioni per l'edizione 2007 a Valencia. L'intenzione, questa volta, è di competere con i più forti. Capitalia diventa lo sponsor del nuovo progetto, che riparte dall'acquisto di USA 66 e 77, le due barche utilizzate da Dennis Conner nel 2003 (col nome di Stars & Stripes). Lo skipper è Vasco Vascotto, mentre Flavio Favini è uno dei tre timonieri a disposizione (con Jes Gram-Hansen e Cameron Dunn). Il team partecipa con ITA 77 alle regate preliminari del 2005-2006, i cosiddetti Acts, che assegnano i punti bonus per la Vuitton Cup. I progettisti, guidati da Harry Dunning, sfornano due barche nuove: prima ITA 90, poi ITA 99, varata il 30 gennaio 2007.

+ 39, un prefisso in cerca di numeri vincenti
La classe non è acqua, ma i soldi scarseggiano: è questa la sintesi del team italiano +39, il primo a presentare la sua candidatura ufficiale ad Alinghi, per la Coppa America 2007 (a parte Oracle, il challenger of record). La sfida proviene da Lorenzo Rizzardi, presidente del Circolo velico Gargnano, sul lago di Garda. La base operativa è in Sicilia, a Palermo. Il nome scelto è il prefisso telefonico internazionale dell'Italia: +39. Il gruppo può contare su veri talenti: in particolare lo skipper Luca Devoti e il timoniere inglese Ian Percy, che si ritrovano insieme dopo il podio della vela di Sydney 2000. Percy vinse l'oro olimpico, proprio davanti a Devoti. All'inizio, l'unica barca disponibile per gli allenamenti era la vecchia e lenta ITA 59, utilizzata pure nelle regate preliminari. Le speranze di rimonta (dopo l'Act 12, +39 è al settimo posto del ranking d'ingresso per la Vuitton Cup), sono riposte nel nuovo scafo, ITA 85, firmato da Giovanni Ceccarelli, l'autore del primo Mascalzone Latino.