La riforma Dini, oltre a introdurre il cosiddetto "metodo contributivo", ha fissato il computo della pensione in base ai contributi effettivamente versati e non in base alle retribuzioni percepite (metodo retributivo). E' già applicato a chi nel 1995 aveva meno di 18 anni di contributi.
Infatti ha stabilito che il sistema di calcolo da utilizzare si differenzia a seconda dell'anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995:
- nei confronti dei lavoratori che possono contare su almeno 18 anni di contributi (compresi i contributi figurativi, da riscatto e ricongiunzione), si applica il criterio retributivo
- nei confronti di coloro che vantano meno di 18 anni si applicano entrambi, e cioè il retributivo per l'anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995, e il contributivo per i periodi di attività successivi al 1° gennaio 1996
- per i lavoratori assunti per la prima volta dopo il 1° gennaio 1996, cioè che a quella data non avevano accreditata nessuna contribuzione utile in alcun Fondo previdenziale, la pensione viene calcolata completamente con le regole del sistema contributivo.
Tra il sistema contributivo e il sistema retributivo ci sono grandi differenze; infatti, la pensione non è legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione accreditata a favore del dipendente nell'arco dell'intera sua vita lavorativa. L'importo della pensione annua calcolata con i criteri del sistema contributivo si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (o alla data del decesso, nel caso di pensione indiretta).
Il coefficiente di trasformazione è la percentuale per la quale si moltiplicano i contributi accumulati in tutta la vita lavorativa al fine di determinare l'assegno pensionistico. In base alla legge Dini i coefficienti dovrebbero essere rivisti ogni 10 anni per adeguarli all'evoluzione demografica. Ne deriva una somma virtuale, cioè una somma accreditata sul conto pensionistico di ciascun lavoratore, che nel momento in cui si va in pensione si trasforma in una rendita (cioè in pensione) secondo coefficienti di equità attuariale.
Si tratta di coefficienti che dipendono proprio dalle aspettative di sopravvivenza e, nella riforma del 1995, furono stabiliti addirittura in base alle tavole di mortalità del 1990. Certo, per adeguarsi all'aumento delle aspettative di vita e per evitare differenze tra le entrate contributive e la spesa per pensioni, è stata prevista una revisione periodica dei coefficienti, ma poiché questa si verifica ogni dieci anni su indicazione dei Ministri del Lavoro e del Tesoro "sulla base delle rilevazioni demografiche" più volte è stata proposto l'aggiornamento dei coefficienti.
Inoltre la riforma Dini ha determinato una svolta nella storia della previdenza italiana attuando un nuovo sistema basato su "due pilastri".
Il primo pilastro è rappresentato dalla previdenza obbligatoria (Inps, Inpdap, Casse professionali, ecc.) che assicura la pensione di base.
Il secondo pilastro è rappresentato dalla previdenza complementare, che attraverso l'adesione volontaria e collettiva alle forme pensionistiche complementari, offre la possibilità di costituirsi una pensione aggiuntiva.
Ne possono beneficiare gruppi e categorie di lavoratori mediante l'adesione ai fondi pensione (aperti e negoziali) o a forme previdenziali individuali accessibili a tutti i cittadini.
Sul fronte dei controlli, c'è la COVIP (commissione vigilanza fondi pensione): istituita nel 1993 la sua attività è rivolta alla tutela del risparmio previdenziale e alla vigilanza su trasparenza e corretto funzionamento del sistema dei fondi pensione al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.