Tennis, a Miami vince Davydenko. Federer in crisi

di Marco Barbonaglia

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7 aprile 2008
AP Photo/Mark Avery

C'è una domanda che, ormai, serpeggia da qualche tempo tra gli appassionati di tennis di tutto il mondo. Che cosa sta succedendo a Roger Federer? L'ombra del campione incapace di tornare a vincere si aggira per i campi, perfino quando lo svizzero non è né da una parte, né dall'altra della rete. Oscura o, per lo meno, appanna spesso anche l'interesse per gli altri match.

Tutto era iniziato con la sconfitta in tre set per mano di Novak Djokovic, a Melbourne, nel primo Slam dell'anno. Il risultato, non del tutto inatteso, aveva fatto suonare qualche sparuto campanello d'allarme. Ma perdere con lo slavo in grande spolvero non è certo un peccato mortale. Così quasi nessuno (giustamente) aveva ritenuto il caso di evocare la parola crisi per il numero uno. Con il tempo, però, sono arrivate, in sequenza, altre sconfitte, per mano di Andy Murray, Mardy Fish e, ultima in ordine cronologico, quella rimediata da Andy Roddick a Key Biscayne. Cose che succedono, certo. Ma non a Roger Federer. Non al fuoriclasse che ha dominato in modo assoluto il tennis mondiale, per almeno quattro anni.

Ora, per lui la situazione non è certo rosea. A bocca asciutta dallo scorso novembre, quando vinse il Masters di Shanghai, l'elvetico è ancora in vetta al ranking, ma fa segnare il digiuno più lungo (cinque mesi senza un titolo) degli ultimi sei anni. La partita persa con Roddick, a Miami, è emblematica, perché interrompe una scia di undici vittorie consecutive sull'americano. È una debacle con un avversario contro il quale, insomma, per forte che sia, il numero uno non perdeva mai. Contro di lui, invece, questa volta re Roger ha impressionato in negativo quando, sul punteggio di un set pari, 3/3 e 0/30 in suo favore, ha ceduto ben undici punti di fila.

La capacità che in queste occasioni è sembrata scricchiolare nel non più invincibile Federer è stata, forse, soprattutto la sicurezza, la forza mentale. Quel marchio di fabbrica che consente ai grandi di aggiudicarsi i punti più importanti dei match, portandosi così a casa anche le partite più difficili.
Ad infittire il giallo che si è creato intorno allo svizzero, c'è poi la notizia, di qualche tempo fa, della mononucleosi che lo avrebbe colpito. Quello che tutti si domandano, in sostanza, è se le attuali difficoltà siano segnali dell'inizio del declino, oppure se non si tratti piuttosto di un periodo nero, attribuibile in gran parte alle cattive condizioni fisiche.

In questo senso, è difficile fare previsioni. Certo Roger è giovane: non ha ancora compiuto 27 anni. Per il tramonto si direbbe sia ancora un po' presto. Se è vero che tennisti come Bjorn Borg alla sua età avevano già appeso la racchetta al chiodo, per talento e tipo di gioco è più corretto avvicinare l'elvetico ad atleti come Sampras, tradizionalmente molto più longevi. Un tennis non basato soprattutto su doti fisiche tende, infatti, a logorare di meno chi lo pratica. Proprio Pistol Pete, per esempio, vinse i suoi trofei in un lasso di tempo particolarmente ampio, tanto che ben dodici anni separano il suo primo Slam (gli Us Open del '90 vinti contro Agassi) dall'ultimo trionfo (sempre a New York e sempre contro Andre, nel 2002).

Detto questo, gli ultimi risultati di Federer sono oggettivamente preoccupanti. E proprio il record di Sampras (14 titoli del grande Slam) che , a due sole lunghezze di distanza, pareva ormai a portata di mano, sembra ora improvvisamente allontanarsi. Quel che è peggio è che lo svizzero non ha raccolto nulla nei primi quattro mesi dell'anno durante i quali si giocava sul cemento. E ora, con la stagione sulla terra battuta alle porte, le difficoltà per lui sembrano destinate, perfino, ad aumentare.

Una cosa sola è certa, la crisi c'è ed è crisi nera. Se questi segnali possano essere le prime avvisaglie di una sua prossima uscita di scena, invece, è decisamente troppo presto per dirlo. Solo i risultati dei prossimi mesi sia sui campi color mattone del Roland Garros, che sull'amato manto verde di Wimbledon potranno confermare o smentire una diagnosi, ad oggi, decisamente prematura.

Se Federer attraversa un momento di buio pesto, chi non è mai parso davvero in grado di approfittarne è Rafael Nadal. Lo spagnolo, che non vince un torneo dal 22 luglio dello scorso anno, non è riuscito a mettere a segno risultati utili per tentare il sorpasso in classifica.
A Miami aveva giocato un bel torneo. Nel cammino verso la finale aveva fatto fuori due tennisti che, di solito, su queste superfici, tendono a batterlo: James Blake e Tomas Berdych. Al giocatore ceco, poi, non aveva concesso nemmeno un set. Tutto faceva pensare, insomma, che questa volta il maiorchino sarebbe riuscito ad agguantare il titolo mancato, l'anno scorso, sempre in finale, per colpa di Djokovic.

Al di là della rete c'era Nicolay Davydenko, ottimo tennista, molto efficace su questi campi. Il pronostico, comunque, era dalla parte di Rafa anche se l'incontro aveva le carte in regola per diventare una sfida molto interessante.

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