Dall'Inter al Giro d'Italia, chi sale e chi scende nel week-end di sport

di Carlo Genta

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18 maggio 2009

Chi sale
Inter campione – Maggio è il mese della Madonna, delle rose, delle rivoluzioni. E degli scudetti. Che possono arrivare in mille maniere, compresa questa: un sabato sera guardando alla tv i tuoi cugini preferiti che te lo consegnano, complicandosi dannatamente la vita anche per il loro traguardo minimo. Le feste in campo sono altra cosa, ma sempre meglio che ritirarlo in segreteria, come disse in un giorno di pioggia e di rabbia la lingua velenosa di Mourinho negli spogliatoi con le orecchie di Bergamo. Il calcio è bello soprattutto perché è vario. Ma su un punto, nessun dubbio: questo numero 17 che sventola sulle bandiere nuove, l'Inter se lo è meritato fino in fondo, imponendo e poi gestendo senza troppi problemi un dominio che non ha mai ammesso repliche, contestazioni. Con la Roma scoppiata, nessuno ha mai preso seriamente nemmeno la targa ai nerazzurri. Piaccia o anche no, questa è una squadra nata per vincere il campionato italiano. Non a caso somiglia come una goccia d'acqua alla Juve di Capello (vietati sorrisetti e lunghi discorsi, stiamo parlando di calcio, non di imbroglioni). Ma a ben guardare pure al Milan di Mister Fabio. Squadre che hanno costruito un ciclo con un grande portiere e comunque con una difesa che concede pochissimo, un centrocampo di taglie forti e davanti fantasia e talento più o meno a briglia sciolte. L'Europa è un'altra storia, diversa, che esige maggior classe là dove nasce il gioco e lì ecco che il Milan di Boban e Savicevic aveva qualcosa in più. Ma in Italia si vince così. In molti vi diranno che l'Inter gioca male. Provate a domandare chi gioca meglio allora dalle nostre parti? Non vale rispondere il Genoa, o l'Udinese, o il Cagliari. Chi tra quelle che devono considerarsi grandi? Non il Milan intermittente come una lampadina natalizia e bello solo due mesi di primavera. Non la Juventus dalle mille ombre e dai talenti contati. E se vogliamo alzare la testa per guardare oltreconfine, non possiamo che ammettere che la qualità vera, il bello, sta solo nelle due che si giocheranno la Champions a Roma il 27 maggio. Più Barca che Man-U, ad essere precisi fino in fondo. Il resto è logorante calcio moderno, chiuso in un fazzoletto ad esibire corsa e muscoli. Il resto sono dettagli e chiacchiere, comprese quelle di chi solo una settimana fa aveva dipinto la notte delle streghe nerazzurre con il Milan, vittorioso su Juventus e Udinese, a 2 punti e l'Inter a riempirsi di paura ai piedi del Siena. Invece è stata solo la Mourinho night.

Don Josè – A proposito di Mourinho, che è un po' come l'aglio: o ti piace o non lo sopporti. Stiamo con quelli che vedono molti meriti del ducetto di Setubal in questo maggio di festa nerazzurra. Meriti gestionali più che tattici. Non era scontato, né facile, né banale saltare su un treno in corsa, dentro a un gruppo già vincente in mani altrui e traghettarlo verso un altro "titulo". Mourinho lo ha fatto con carisma e intelligenza, se vogliamo anche con sensibilità e delicatezza, attenzione ai dettagli e spirito democratico. Può sembrare un paradosso, ma non si spiegherebbe altrimenti l'unità di intenti che il gruppo Inter ha dimostrato, più ancora che nel passato. Questa squadra non era figlia sua, anzi i giocatori che ha voluto li ha sbagliati in modo clamoroso (Quaresma su tutti). Ma ha avuto, a differenza di molti colleghi suoi, l'umiltà e l'intelligenza di fare autocritica nei fatti più che davanti ai microfoni, cambiando modulo fino all'assetto definitivo con Stankovic vertice alto di un rombo che all'inizio non vedeva, promuovendo Santon, ripescando Balotelli, spremendo le ultime energie da Cruz e Crespo. E bocciando chi proprio non ci stava (Quaresma su tutti). Ne abbiamo visti tanti ad ogni livello di allenatori colati a picco con le loro idee pur di non cambiarle. Mourinho, se non Speciale, almeno di sicuro è diverso.

Julio Cesar – Quanti giocatori dell'Inter potrebbero giocare in qualunque squadra del mondo? Non tantissimi. Facciamo Maicon, Cambiasso, certamente Ibra, forse in prospettiva Balotelli per età e talento. Di sicuro Julio Cesar, l'unico indiscutibile numero uno mondiale per ruolo che ha l'Inter di oggi. Sua più che di tutti gli altri è la faccia dello scudetto numero 17, sua più che di Ibrahimovic, perché le parate non si leggono in alcuna classifica, ma in una squadra dall'anima difensiva e battagliera come è questa, il simbolo è il suo superportiere. Pregio o limite, fate voi.

Chi scende
Ancelotti & Berlusconi – Difficile spiegare le ultime due partite del Milan, dalla rimonta furiosa a suon di gol, allo scudetto versato sul conto dell'Inter. Difficile, se non leggendo le cronache dal lunedì al venerdì. A Carletto è stato chiesto un traguardo minimo e un metro prima di tagliarlo è arrivato lo sgambetto presidenziale. Tanto più inelegante se si pensa che non è una club qualunque e che questa non è una storia di calcio qualsiasi. Lì l'anima della squadra si è sciolta e Carlo forse per la prima volta, non ha più avuto voglia di sporcarsi le mani per ricompattarla abbassando il testone con umiltà. Se ne andrà ed è un peccato prima di tutti per il Milan. Perché un altro così non esiste. Perché la squadra non verrà rifatta, ma solo ritoccata dato che non si vogliono spendere troppi quattrini. Perché prego si accomodi al prossimo che dovrà gestire questo gruppo di campioni spesso al lumicino, ma dall'ego e dal passato ingombrante. L'unico ad averlo capito sembra essere Adriano Galliani. Ma non è lui che comanda.

Juventus & Ranieri – Senza tirare in ballo l'ufficio inchieste che non è il caso, Milan-Juventus era stata un fuoco fatuo molto strano. Ieri ne abbiamo avuto la prova coi bianconeri presi letteralmente a pallonate dall'allegra Atalanta che può solo mangiarsi le mani per una vittoria che sarebbe stata sacrosanta e prestigiosa quanto inutile. Sei pareggi e una sconfitta nelle ultime 7 gare, molti giocatori che vanno in campo con l'aria di chi ti fa un favore e quando li levi "fanno le facce", nonostante i ripetuti richiami all'ordine di un club sempre più inascoltato e fragile. In queste condizione se la Signora va in Europa per le vie principali, è un miracolo sul quale oggi non abbiamo voglia di scommettere. Resta da capire chi ne pagherebbe il conto oltre, ovviamente, a Ranieri.

Il Ghiro d'Italia – Qualche anno fa la mascotte di una edizione della corsa era proprio un simpatico ghiro vestito in rosa. Andrebbe riproposto dopo una prima settimana che ha lasciato più dubbi che entusiasmi e specie dopo la figuraccia di ieri a Milano, coi corridori fermi a sporcare l'immagine già traballante del Giro e del ciclismo in genere, con Di Luca microfono alla mano a spiegare alla gente perché il gruppo si è rifiutato di correre su un circuito già mille volte vissuto in passato. Un calcio al Giro troppo preso nelle sue autocelebrazioni, tanto da somigliare ormai pochissimo a se stesso proprio nell'edizione dei 100 anni. Doveva essere il Giro delle stelle. Per ora è solo quello della noia, ad aspettare il battito di un cronometro dopo undici giorni di corsa inutile.

18 maggio 2009
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