Quando l'allenatore è una star

di Giuseppe Ceretti

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4 settembre 2009


Protagonisti, come e più dei divi che allenano. Tra le maschere della commedia dell'arte calcistica italiana brillano di luce propria, sino ad offuscare le stelle che si esibiscono sui campi. Oddio, non è che la parte fosse scoperta nei tempi andati, ma si trattava per lo più di eccezioni in un panorama che riservava indiscussa supremazia agli dèi che brillavano sugli album della Panini.

Dovevi chiamarti Nereo Rocco e fregiarti del lussuoso appellativo di paron per poterti permettere di dare del "mona" al recalcitrante divo in mutande. O, ancora, assumere le sembianze di una formula chimica "HH" ( ovvero Helenio Herrera) e sentirti inviato sulla terra per conto della divina Eupalla per trattare come scolaretti gente del tipo di Facchetti, Picchi, Suarez e Mazzola. Eccezioni di un mondo dalle regole rigide quando il calcio s'officiava la domenica quale altro rito della festa comandata. Allora delle baruffe negli spogliatoi o negli uffici del presidente-padrone uscivano spifferi che potevano essere colti solo dalle penne più accreditate.

Oggi tutto è mutato e l'allenatore è al centro della scena. A lui toccano le prime schermaglie in tv e le domande più provocanti quando ancora, per dirla con Paolo Conte, le palle ancor ti girano. I signori del pallone si sono subito adeguati. Capostipite della nuova generazione? D'istinto vien da dire il Trap. Il suo celeberrimo rap alla tv tedesca con l'intemerata nei confronti del ribelle Strunz, per sua fortuna giocatore germanico, fece il giro del mondo e gli valse gloria e denaro più di quanto avesse raccolto nella sua straordinaria carriera. Il suo pugno di ferro con uscite e rientri in scena poté così abbattersi come un maglio su lavatrici d'ultima generazione.

Da quel dì fu un crescendo con gli anonimi mister di un tempo trasformati in primi attori. Ciascuno, s'intende, secondo la propria indole. Carletto Mazzone, perfetto nella sua personale interpretazione degli eroi del Rugantino, poté così dare sfogo fisico alla sua vis comica con l'indimenticabile corsa (si fa per dire) verso la curva atalantina dopo un goal di Baggio a Brescia.

Così oggi, da veri attori della storia dell'arte, i nostri eroi escono ed entrano in scena, sbattendo porte e mostrando sorrisi e smorfie da consumate prime donne. Ciascuno recita a soggetto e presto impara la parte che più gli è confacente.
Dobbiamo a Mourinho l'ultimo e più significativo scatto di qualità. Il portoghese ha presto compreso, con l'intelligenza istintiva che non gli fa difetto, che non bastava recitare la parte scritta. No, era necessario mandare all'aria il copione. Basta con il finto rispetto del collega, con l'elogio ipocrita del suo lavoro, con la grottesca giustificazione di non giudicare per non voler entrare nel merito altrui. Meglio menar fendenti, storpiare cognomi, dare del vecchio al tuo vicino di panca, lanciare la bordata degli «Zeru Tituli» contro i colleghi che schiumavano rabbia dietro sorrisi di circostanza. Che spettacolo, ragazzi! Il cerone s'è sciolto e le carte si sono finalmente sparigliate. Così Ancelotti ha smesso di borbottare e masticar gomma dinnanzi ai microfoni e si è messo a rispondere per le rime persino con i libri, altrettanto Spalletti e Ranieri.

A proposito, eccole le due prime donne dell'ultima puntata della nostra telenovela, uniti da un beffardo destino. Durante l'estate il tecnico toscano è stato più volte accostato alla Juve che aveva appena licenziato Ranieri e ancora non sapeva se puntare le sue carte su Ferrara. Ritorna, per gli amanti della cabala, l'incubo del due. A due giornate dalla fine Ranieri venne licenziato dalla Juve, due giornate dopo l'inizio il tecnico romano sfila la panchina a Spalletti, che ci ha offerto un'uscita di grande efficacia melodrammatica.

" Er pelato", come lo chiamano gli ultrà giallorossi, esce di scena da attore consumato, lacerando simbolicamente il contratto con la famiglia Sensi («Tenetevi pure la Roma, io ho lasciato tanta roba, proprio tanta roba») e dichiarando di sentirsi «dilaniato, dilaniato dentro». «Tre secondi posti vi ho dato, ingrati, e il più bel gioco non de tutta Roma, ma dell'Italia intera», dicevano poi i suoi occhi che lanciavano bagliori mentre dalla bocca uscivano critiche più trattenute contro l'ingrata presidente, contro Totti che non rientra mai, contro una difesa che pare una banda del buco. Bel gesto e per ora un po' di mesi tra casa e scuola con i figli. Ma, statene certi, presto ritornerà sulla scena.

Per ora il testimone giallorosso passa al gentiluomo del Testaccio, "Tinkerman", come lo chiamano gli inglesi, un vocabolo che sta a metà tra pasticcione e aggiustatutto. Addio allo Spavaldo, spazio al Concreto. Nessuno gli chiederà traguardi altisonanti e lui metterà un'aggiunta qui e una là, sempre a tirar di lima per rimettere in piedi una Roma con pochi sogni e ancor meno soldi.

Avanti allora, mister nostri tanto amati e tanto discussi, e ciascuno faccia al meglio la sua parte in questa corsa mozzafiato sull'ottovolante della pedata. Attendiamo con fiducia i nuovi. Dateci tempo per sdoganarli. Ciro Ferrara, per esempio, pare ancora di vederlo nello spot pubblicitario che reclama "fresca bontà" per la sua Juve. Quanto a Leonardo, il suo volto sgomento del derby mentre riceve una pioggia di insulti da Gattuso, ha già fatto il giro del mondo. Come debutto niente male. Diamogli tempo, lo ha detto Lui.

4 settembre 2009
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