Ma cosa resterà dopo gli All Blacks?di Giuseppe Ceretti |
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14 novembre 2009
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Dopo il diluvio che cosa resterà? La domanda è legittima dopo l’orgia rugbistica che ha travolto il nostro Paese, dalla carta stampata sino ai blog. Non solo mischia chiusa e touche non sono più un mistero, ma nemmeno Ruck e Maul dopo l’inondazione di istruzioni per l’uso. Dire che si sia trattato di una scoperta del gioco, ci pare offensivo per gli appassionati e fuori luogo. Da tempo e dopo decenni di silenzio e di incontri disputati dinnanzi a pochi intimi, in Italia la palla ovale è definitivamente uscita dal limbo degli sport negletti. Il quindici azzurro ha fatto passi da gigante per entrare nell’anticamera dei grandi anche se ora trova enormi difficoltà a compiere l’ultimo balzo nella schiera degli eletti. Le immagini dei grandi tornei che rimbalzano da tutto il mondo, hanno contribuito alla diffusione di una disciplina sempre più attraente. In queste settimane si è realizzata piuttosto un’efficace operazione mediatica facendo leva sul mito dei fantastici All Blacks, che sanno coniugare velocità e potenza fisica, classe dei singoli e organizzazione di gioco. Il complesso neozelandese, al di là delle classifiche attuali, è di gran lunga il più visto, anche per l’efficace coreografia che si porta appresso. E’ dunque tutto oro ciò che ha luccicato in queste settimane? C’è da dubitare e sono proprio i veri supporter a rendersene conto per primi. Il diluvio di complimenti che si è abbattuto sul rubgy difficilmente si tradurrà in buone azioni sportive. La tanto declamata cultura della palla ovale, come ci insegnano coloro che lo praticano da sempre, è frutto di abitudini e comportamenti radicati che non si possono improvvisare. Troppe le note stonate udite in questi giorni, troppi i falsi peana, troppa la retorica dell’antiretorica che ha messo a disagio appassionati e praticanti, sorpresi da una tale massiccia dose di make up. Convitato di pietra in questa serenata lo sciagurato gioco del calcio, con i suoi eccessi, le sue spese folli. Intendiamoci, che il calcio sia messo alla berlina può fare solo bene a uno sport che pare vivere nella nostra società come i ballerini sul Titanic, con la differenza che quelli ignoravano l’incombenza del disastro. Eppure ci sarebbe di che imparare, eccome. A partire dal campo. Basta vedere come viene interpretato il ruolo dell’arbitro, primus inter pares, che spiega e coinvolge i giocatori. O come si risolvono le controversie con l’uso di poche, ma essenziali tecnologie.
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