Gli americani di solito hanno una parola per tutto. E quando non ce l'hanno la inventano. Greenwash è la fusione di green (verde) e whitewash (sbiancare). Il termine, nato negli anni novanta, descrive il comportamento di quelle aziende, organizzazioni e Governi che sbandierano il proprio credo ambientalista e "verde" salvo poi comportarsi nella pratica in maniera opposta. In sostanza, parlano bene e razzolano male. A più di dieci anni di distanza (17 per l'esattezza) il verde è diventato mainstream (di massa). Le aziende fanno a gara per mostrare le proprie credenziali ambientaliste mentre gli uomini marketing si preparano a elaborare una coscienza ecologica. Produrre prodotti eco-compatibili, insomma, è diventato l'imperativo dell'industria informatica. E di colpo,un nuovo entusiasmo investe il settore.
A dire il vero, qualche piccolo senso di colpa c'è. L'information technology è responsabile del 2% delle emissioni di Co2. Quanto poi alla spazzatura elettronica, nel 1998 in Europa venivano generati 6 milioni di tonnellate di elettro-rifiuti, l'11% dei quali proprio dal comparto It. Tuttavia, ciò che ha risvegliato le coscienze non sono tanto i timori legati al cambiamento climatico (e relativi addentellati), quanto i crescenti costi dell'elettricità. Previsioni e numeri hanno cominciato a comparire nei Power point e nei report dei principali osservatori di ricerca. Si è così scoperto che il consumo di energia è raddoppiato tra il 2000 e il 2005 e farà lo stesso nel 2010.
Presto il risparmio energetico negli ultimi due anni è entrato di prepotenza nelle agende di tutti i Ceo mondiali. I più innovativi e ricchi si sono convertiti subito al vangelo ambientalista. È stata così creata la figura professionale dell'esperto eco-responsabile. Cioè di colui che viene chiamato a dettare le linee guida per rendere prodotti, produzione e organizzazione rispettose dell'ambiente. Ma c'è anche chi si è mosso più lentamente, facendo il minimo indispensabile per restare a norma e delegando al marketing la missione "natura", ovvero inserendo qua e là qualche nota di colore verde.
Il tutto con buona pace di chi la sostenibilità l'ha abbracciata in toto. Come, per esempio, Fujitsu Siemens che da 1988 cavalca questa visione. Prima le schede madri senza piombo, poi i pc verdi, i server, i data center, fino ai processi produttivi a basso impatto ambientale. Portavoce di questa strategia è Bernd Bischoff, ceo di Fujitsu Siemens. Dal 2001, anno in cui è entrato in azienda, a oggi ha visto le fiere dell'informatica tingersi di verde e i competitor cominciare a parlare di sostenibilità. Ora che tutti si incensano però non sembra affatto felice. «La coscienza ambientale è molto sulla carta e poco, come dire, nei fatti», commenta. Avvicinato a Milano Bischoff ha davanti a sè una lista di percentuali che descrivono i risparmi che le aziende possono ottenere investendo in informatica. Tuttavia «il mercato non è ancora pronto. I clienti, non tutti naturalmente, credono che l'It verde significhi costi maggiori e performance più basse. E invece è proprio il contrario. Un esempio piccolo ma significativo: sui nostri monitor abbiamo una tecnologia salva energia. Ebbene, abbiamo calcolato un risparmio di 7000 euro all'anno ogni mille pc». Eppure, nonostante tutte le parole spese a favore dell'ambiente, c'è ancora poca fiducia. «Naturalmente la situazione non è generalizzata – spiega il ceo tedesco –. Ci sono Paesi dove istituzioni e mass media sono più attente all'ambiente. Svezia e Germania, da questo punto di vista, sono più avanti. In Italia invece si fa più fatica». Complice una informazione insufficiente ma, interviene Pierfilippo Roggero, amministratore delegato della Fujitsu Siemens Computers, c'è anche un fattore di natura culturale: «Qui da noi c'è ancora chi crede che il computer verde non sia un buon affare perché tutto ciò che è ambiente non è un buon affare. Sopratutto c'è scetticismo sulle prestazioni. Forse era così una decina di anni fa, oggi è tutto cambiato».
Dello stesso avviso è David Douglas, vice presidente Eco responsability di Sun Microsystems. «È proprio il mercato che chiede prodotti compatibili con l'ambiente – afferma sicuro –. Perché l'efficienza nei consumi energetici significa poter realizzare profitti». La multinazionale di Santa Clara (Usa) si sta concentrando sui data center studiando eco-tecnologie (si legga l'articolo sotto). E ne ha da poco inaugurati tre in tre continenti diversi (Europa, India e Stati Uniti). «Sappiamo ridurre del 60% i consumi energetici – spiega Douglas –. Siamo convinti che questa sia la strada giusta. L'ambiente non è una moda. I ritorni sugli investimenti ci saranno – afferma – ne sono certo. E i clienti presto chiederanno solo prodotto "sostenibili"». Nell'attesa, chissà se gli americani inventeranno una parola appropriata per i nuovi eco-clienti?