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La tentazione pericolosa dell'uranio arricchito

di Mario Vadacchino

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26 maggio 2008

La percentuale di U235 in natura è dello 0,7%; nel combustibile per reattori dev'essere del 3,5%, nelle armi atomiche superiore al 90 per cento. Questi dati però non rappresentano totalmente la realtà: l'energia necessaria per elevare la percentuale di U235 al 3,5% rappresenta l'85% del lavoro necessario a raggiungere il 90 per cento.
Una volta in possesso del materiale adatto, assemblare l'ordigno è relativamente facile; la bomba non sarà efficiente, ma si tratterà pur sempre di arma atomica, come quella nord-coreana. Chi possiede attrezzature e competenze per gestire il ciclo del combustibile è quindi in grado, se ha la volontà politica, di fabbricare una bomba.
Il pericolo di proliferazione apparve evidente e imminente negli anni 70, quando si costruirono molti reattori nucleari civili. I Paesi che possedevano la bomba, per fare accettare agli altri la rinuncia a possederla, dovettero concedere loro il diritto di sviluppare tutte le applicazioni pacifiche del l'energia nucleare; su questo baratto si basa il "Trattato di non proliferazione nucleare" (Npt), stipulato nel 1968 e attualmente firmato da circa 190 nazioni.
I controlli dell'Iaea
Questo diritto era (ed è tuttora) condizionato, per i Paesi che hanno firmato il Trattato Npt, all'obbligo di sottoporre tutte le proprie attività nucleari al controllo dell'Iaea, l'ente dell'Onu per l'Energia atomica: appositi protocolli individuano gli impianti coinvolti nelle attività di sviluppo, i controlli e le visite senza preavviso degli ispettori dell'Iaea.
Questo regime non ha funzionato per la Corea del Nord, che è riuscita a sviluppare in segreto una bomba al plutonio. Il caso dell'Iran è invece più controverso: il 3 marzo scorso il direttore dell'Iaea Mohamed El Baradei ha comunicato che Teheran è stata in grado di rispondere alla quasi totalità delle obiezioni che erano state mosse al suo programma nucleare.
Secondo la maggior parte degli esperti, le attuali regole di controllo non sono in grado d'impedire a un Paese intenzionato a dotarsi di armi nucleari di dirottare parte dell'uranio debolmente arricchito verso piccoli impianti segreti che effettuino la fase finale dell'arricchimento. Si potrebbe perfino ipotizzare che un Paese, entrato in possesso di una quantità sufficiente di materiale fissile per alcune bombe, si ritiri dal Trattato Npt.
Non va sopravvalutata la possibilità che un Paese in possesso dell'arma nucleare la utilizzi con leggerezza; è certo però che la diffusione di questo tipo di armi diminuisce la sicurezza di tutti. Comunque è illusorio pensare che la soluzione del problema sia unicamente tecnico-giuridica; va anche affrontato il problema della percezione della propria sicurezza che hanno i Paesi intenzionati ad acquisire bombe atomiche; questione, questa, risolvibile solo con accorte iniziative politiche.
Domanda dilagante
Il numero di Paesi che chiederanno di sviluppare una propria industria nucleare più o meno autonoma è destinato a crescere rapidamente nei prossimi anni; alcuni si accontenteranno di comprare, chiavi in mano, i reattori nucleari, ma dovranno in ogni modo acquisire competenze e attrezzature per la semplice gestione. Altri, ad esempio quelli che possiedono miniere di uranio, cercheranno di divenire padroni dell'intero ciclo produttivo, dato che, tra l'altro, il mercato del combustibile per centrali ha attualmente pochi fornitori ma promette una grande espansione.

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