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Abbarchi (Sap): «La crisi non deve fermare l'innovazione»

di Gianni Rusconi

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3 febbraio 2009

Gli investimenti in tecnologie informatiche rallentano ma non si fermano del tutto. L'imperativo è quello di ottimizzare le risorse, e in quest'ottica rientrano pure sostanziosi colpi di forbice al personale, ma non può venire meno la necessità di innovare per essere più competitivi: a livello di processi, di modelli di business e di "time to market" e, naturalmente, anche di infrastrutture hardware e software. La crisi si fa sentire ma in casa Sap continuano a pensare in positivo e a vedere nelle licenze software (che pesano per il 75% del fatturato) e non nei servizi il vero core business a valore. Nonostante le avvisaglie di un esercizio 2009 che si annuncia più difficile di quello appena terminato con ricavi in crescita del 13% (a 11,6 miliardi di euro), utili in flessione del 2% (poco meno di 1,9 miliardi) e l'annuncio del prossimo taglio di 3.000 dipendenti, pari a circa il 7% della forza lavoro globale. Il Sole24ore.com ha parlato delle prospettive a venire del gigante del software tedesco, in chiave mercato e non solo, con Augusto Abbarchi, amministratore delegato della filiale italiana di Sap.

Abbarchi, partiamo da una riflessione di stretta attualità: il settore auto riceve finanziamenti pubblici per superare la crisi, lo stesso è avvenuto per le banche. Per l'It invece nulla…
Incentivi per il settore, legati magari alla rottamazione di vecchie macchine e software obsoleti? Sarebbe una bella cosa, assai stimolante. La produttività del sistema Italia è in calo rispetto al resto d'Europa e un aiuto pubblico sarebbe sicuramente importante, a tutti i livelli. Ma realisticamente il settore auto ha altri numeri, soprattutto per la forza lavoro coinvolta, e non va dimenticato che chi lavora nell'hi-tech si riconverte più facilmente di altre figure professionali. Cito un esempio: chi lascia un'azienda It trova spesso collocazione presso un partner e attualmente c'è in Italia una carenza di figure consulenziali Sap.

Rimaniamo in argomento: come si spiega il vostro taglio "preventivo" a 3.000 dipendenti?
Viviamo una situazione di incertezza e l'esercizio 2008 è stato di luci e ombre. Bene il primo semestre, difficile il secondo. Occorrono quindi azioni di prospettiva, preventive rispetto a uno scenario di crisi che va vista sotto una duplice lente. Una psicologica, generata dal crack finanziario, che fra sei massimo 12 mesi lascerà spazio alla ripresa di nuovi investimenti e una strutturale con effetti più negativi e scenario assai variabili. In questo contesto Sap è una società quotata in Borsa ed è necessario che protegga il valore del titolo e della "bottom line", degli utili e della sua competitività. E da qui l'azione sui costi.

Il mercato It e del software si annuncia per il 2009 in frenata, quindi come si mantengono in crescita i fatturati?
Il mercato si annuncia in effetti "flat" ma per quanto riguarda Sap non vediamo scenari drammatici. Le aziende, in generale, non investono in nuovi grandi progetti ma spendono per affinare risorse esistenti o in applicativi e sistemi anticiclici, dalla business intelligence ad avanzati strumenti di budgeting. In altre parole non vediamo all'orizzonte grandi contratti ma un numero maggiore di contratti: in Sap abbiamo cambiato il processo di vendita, facciamo azioni a volume e creiamo le business case.

In questo scenario chi allora investirà e chi non, in Italia, a livello di grandi aziende?
Banche e utilities non hanno ridimensionato più di tanto i loro budget di spesa. Lo stesso dicasi per il settore della sanità ed alcuni segmenti del food. Ci sono aziende che investono per la lungimiranza e la qualità del management, che tengono d'occhio per forza di cose i costi e che guardano a progetti i cui ritorni sono veloci, nell'ordine dei 12 mesi. La sfida da vincere per l'It, in questa fase, è quella di rimanere nella lista delle priorità di spesa, fra le voci che non possono essere tagliate.

Scendiamo di livello e guardiamo in casa delle medie aziende: come reagiranno queste alla crisi?
Il discorso rispetto alle grandi non cambia, fermo restando le diverse disponibilità di spesa, se c'è un management preparato e di livello. Vediamo uno scenario, relativamente alle imprese con più di 250 dipendenti, molto disomogeneo, con aziende che si sono fermate del tutto con gli investimenti e altre che non hanno cambiato i piani di investimento. Queste ultime avranno un vantaggio competitivo non indifferente, mentre le prime corrono un grosso pericolo e soffriranno molto il fatto di non aver colto un'importante opportunità di crescita, individualmente o a livello di network.

È realistico, come dicono in molti, pensare a una generalizzata ripresa dei mercati a partire dal 2010?
Ci si chiede: la crisi è profonda? Non è ancora chiaro quanto. Se gli Stati Uniti guideranno come si spera la ripresa intervenendo in modo deciso sull'economia è lecito avere un cauto ottimismo. C'è anche da dire che a livello europeo è difficile concertare una politica coerente e di insieme per uscire dalla crisi e là dove il debito pubblico è molto elevato non bastano alcuni interventi pubblici a risolvere del tutto il problema. Penso sia necessaria in tal senso una riconfigurazione del sistema economico che vada a privilegiare la produzione di idee e non solo quella di beni. Serve costruire, in poche parole, un nuovo modello di fare impresa.

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