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Go Nagai, il padre di Goldrake: «Devilman? E' figlio del Lucifero di Dante»di Francesco Prisco |
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27 aprile 2007
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Veste un abito bianco abbinato ad una camicia molto appariscente, dalla quale spunta una specie di amuleto d'oro. E' di corporatura minuta e modi gentili, tanto che non lo distingueresti dalle decine di turisti giapponesi che passeggiato per Napoli. Tuttavia, il 62enne Go Nagai non è affatto una persona comune: viaggia con una matita in tasca, la stessa che tra gli anni Settanta e gli Ottanta ha dato vita a Devilman, il demone redento dall'amore, alla saga fantascientifica di Mazinga e Goldrake, a Jeeg il robot d'acciaio fino a creare un vero e proprio Pantheon di superpersonaggi combattenti e combattuti, perennemente in bilico tra Bene e Male. In pratica, per fama e successo sta al mondo dei manga come Walt Disney sta ai cartoon a Stelle e strisce. Ospite di punta dell'edizione 2007 di "Comicon", salone internazionale del fumetto e dell'animazione che si tiene nel capoluogo partenopeo, Nagai presenta la special edition in Dvd della serie "Ufo Robot Goldrake", l'unica tra quelle in circolazione ad avere il placet dell'autore. Senza divismi di sorta, non disdegna poi di intrattienersi con i giornalisti, dispensando aneddoti e curiosità, firmando libri e regalando schizzi dei suoi personaggi più famosi. Maestro Nagai, il suo passato è già oggetto di biografie e saggi critici. Il futuro, invece, cosa le riserva? «Al momento sto lavorando a quattro progetti diversi. Tre sono storie ambientate nel Giappone medievale, di quelle che in Occidente chiamate storie di samurai. Il quarto progetto è un manga poliziesco classico. Poi c'è Violence Jack, un mio personaggio pulp nato a metà degli anni Ottanta che mi terrà impegnato ancora per un po' di tempo». Ma il 2007 è annunciato anche come l'anno di uscita del nuovo Jeeg. Non è la prima volta che lei torna sui suoi personaggi classici. Ha in mente altre riedizioni? «Per quanto riguarda Jeeg, l'idea di fondo era vedere cosa si riusciva a fare con la computer grafica su un personaggio dalla genesi così particolare. Lo concepii, infatti, subito dopo il grande successo della saga di Mazinga. Una casa di produzione di giocattoli mi mostrò una serie di omini dal corpo ad acca, "componibili" tramite l'unione di più moduli magnetici. Mi chiesero di sviluppare un personaggio partendo da quell'assunto e io pensai al robot costituito da "componenti". Il nuovo Jeeg funziona diversamente: non è più il protagonista a "diventare" la testa del robot, ma la sua moto a trasformarsi in cabina di pilotaggio. Per onestà dico che, se dipendesse da me, adatterei tutte le serie storiche alla computer grafica. Sono immense, infatti, le possibilità che offre. Negli anni Settanta, per ragioni pratiche, eravamo costretti a far indossare sempre gli stessi abiti ai personaggi. Oggi puoi curare dettagli al tempo impensabili». Lei non ha mai fatto mistero di essere un grande estimatore della cultura italiana. Quale suo aspetto l'ha influenzata di più? «Miti greci e romani sono al centro della mia produzione di manga. Per questo mi emoziona passeggiare per le strade di città come Roma o Napoli, ancora cariche di quelle suggestioni culturali. Al Museo archeologico di Napoli, per esempio, ho visto un guerriero greco in armatura che potrebbe fare da modello per un mio robot... All'Italia devo comunque soprattutto l'influenza di Dante Alighieri. Ero ragazzo quando i miei fratelli portarono a casa un'edizione della Divina Commedia illustrata da Gustave Doré. Desiderai immediatamente poter disegnare come faceva lui». Quale mostro dantesco le stava più simpatico? «Sicuramente Lucifero. Una creatura immensa, bloccata tra i ghiacci al centro della terra. Da lì partii alla fine degli anni Sessanta per realizzare "Mao Dante", una storia horror dichiaratamente ispirata alla Divina Commedia. L'opera restò incompiuta, ma da Mao Dante qualche anno più tardi è nato Devilman, uno dei personaggi a cui tengo di più». Nei suoi lavori di fantascienza è molto viva la memoria della Seconda guerra mondiale. I nazisti, per esempio, sono "di casa" nelle due serie di Mazinga. Più in generale l'energia atomica che spesso affiora negli armamenti dei robot riporta direttamente a quanto accaduto ad Hiroshima. Quanto deve all'immaginario collettivo giapponese del dopoguerra, popolato di mostri come Godzilla? «Sono nato pochi mesi dopo le esplosioni che in Giappone posero fine alla Seconda guerra mondiale. Non ho direttamente vissuto quei tragici eventi, ma da piccolo ascoltavo i ricordi dei miei familiari, completamente immersi in quell'immaginario collettivo. Poche immagini esprimono bene il Giappone del dopoguerra come Godzilla, che è quasi una bomba atomica che cammina. Sono cresciuto in quel contesto e ho naturalmente maturato un'indole pacifista. I miei lavori sono stati spesso equivocati. E' vero, racconto di guerre, ma lo faccio soltanto per affermare quanto sia importante per l'umanità la conquista della pace, un traguardo costantemente a rischio. Sono profondamente pacifista». La serie Goldrake, d'altra parte, risentiva di atmosfere hippie… «Ho cominciato a lavorare in un anno particolare: 1968. Non che fossi parte diretta della contestazione e di quel radicale movimento per il rinnovamento che si faceva sentire nelle piazze di tutto il mondo, ma non escludo che in qualche modo la mia opera possa esserne stata influenzata». Si è mai sforzato di rendere i suoi lavori più appetibili al pubblico europeo, tradendo magari la platea giapponese? «Quando ho cominciato a disegnare neanche pensavo che un giorno le mie opere sarebbero state viste oltre i confini giapponesi. E' per il Giappone che ho lavorato, nell'unico modo che conoscevo. Con grande sorpresa di volta in volta scoprivo il successo estero delle mie produzioni. Alcune trovate, però, sono da attribuire alle reti televisive che acquistavano il prodotto, non a mie scelte artistiche». La leggenda vuole che sua madre si opponesse alla sua carriera di disegnatore, pregando le case editrici cui si rivolgeva di rifiutare i suoi lavori. Oggi cosa pensa di lei? «Mia madre si preoccupava della famiglia: eravamo cinque fratelli senza padre, serviva impegnarsi e lavorare. Una volta compreso che il mio lavoro trovava riscontri, divenne una mia grande sostenitrice. Oggi ha 98 anni e qualche difficoltà a comunicare, ma sono sicuro che è contenta del percorso che ho seguito». Un'ultima cosa. Se potesse pilotare uno solo dei robot da lei disegnati, quale sceglierebbe? «Sono un uomo molto cauto. Avrei serie difficoltà a pilotare un robot gigante perché avrei sempre il timore di schiacciare qualcosa».
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