Ora che comunisti e fascisti sono spariti dal Parlamento, il 25 aprile diventerà la giornata della democrazia per tutti? Finora nessuna ricorrenza ha fondato una coscienza nazionale
Nella "Storia d'Italia nel XXI secolo", pubblicata nel 2108 dalla casa editrice Il Nazionale Cosmopolita, per la serie «Memorie Condivise», si legge quanto segue: «Il 25 aprile 2008 si celebrò solennemente in Italia il sessantatreesimo anniversario della liberazione e il ritorno della democrazia. Alla cerimonia nella capitale, erano presenti, con il Presidente della Repubblica, numerosi esponenti politici: Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Umberto Bossi e Walter Veltroni, ciascuno con una coccarda tricolore sul petto. Ovunque gli italiani festeggiarono l'evento con un inno corale di fedeltà allo Stato nazionale e alla democrazia nata dalla Resistenza. Grande commozione suscitò l'impresa compiuta dai Volontari della Pulizia, organizzati dalla Lega Nord, per liberare Napoli e la Campania dalle immondizie, nell'anniversario della Liberazione. La celebrazione del 25 aprile 2008 fu il simbolo di una rivoluzione culturale, che aveva dato agli italiani una coscienza nazionale comune. Erano 147 anni che ciò non accadeva. Cioè da quando, il 17 marzo 1861, era nato lo Stato italiano».
Potrebbe essere questa la descrizione della ricorrenza del 25 aprile 2008, dopo le elezioni politiche del 13 aprile, che hanno prodotto una rivoluzione parlamentare nella storia della Repubblica: per la prima volta non saranno rappresentati nelle due Camere partiti che si richiamano al comunismo o al fascismo. I maggiori partiti della nuova legislatura si riconoscono reciprocamente una legittimità democratica. Ora, poiché nessun partito eletto in Parlamento il 13 aprile si richiama al fascismo né rifiuta la Repubblica nata dalla Resistenza, si può immaginare che la cerimonia del prossimo 25 aprile possa avvenire come è descritta nel brano immaginario citato all'inizio. Sarebbe questa una vera rivoluzione culturale nella storia degli italiani. Vediamo perché.
Secondo molti studiosi, senza una memoria comune rielaborata periodicamente attraverso le feste della nazione, non può esserci identità nazionale. Le feste nazionali rinnovano nella collettività la coscienza di appartenere a una comunità di storia, di ideali e di valori condivisi, al di sopra delle differenze dei partiti che si avvicendano al Governo. Nei centoquarantasette anni della loro vita come cittadini di uno Stato nazionale, gli italiani non sono mai riusciti a riconoscere in un evento della loro storia il principio fondante di una memoria collettiva. La memoria collettiva degli italiani è stata finora un luogo di conflitti provocati da valori, principi e ideali non condivisi, inclusa la stessa idea di nazione.
Le feste nazionali istituite dalla monarchia, come la festa dello Statuto e il 20 settembre, furono sempre momenti di conflitto fra gli italiani. Nel 1911, quando lo Stato celebrò i primi cinquanta anni di unità, gli italiani cattolici, socialisti, repubblicani, nazionalisti e internazionalisti, protestarono contro l'Italia monarchica nella quale non si riconoscevano. Dopo la vittoria italiana nella Grande Guerra, l'anniversario del 4 novembre divenne un altro momento di conflitto fra nazionalisti e internazionalisti, fascisti e antifascisti, in una guerra civile che si concluse con l'instaurazione dello Stato totalitario. Nuovo regime, nuove feste. Che consacrarono l'identificazione del fascismo con la nazione italiana. Alle feste nazionali fu tolto il carattere conflittuale, come agli italiani era stata tolta la libertà di pensiero, di parola e di voto.
Dopo la fine del fascismo, il nuovo Stato democratico conservò della precedente storia italiana solo il 4 novembre, accanto al 25 aprile e al 2 giugno, anniversario della Repubblica. Sulla unità patriottica antifascista, i partiti antifascisti che rifondarono lo Stato nazionale avrebbero potuto costituire la memoria comune dell'Italia repubblicana. Nel 1946, celebrarono uniti il 25 aprile. Poi, con la Guerra Fredda, iniziò una guerra civile ideologica fra gli italiani comunisti e gli italiani anticomunisti, che reciprocamente si accusarono di esser traditori della Patria, al servizio dello straniero. L'anniversario del 25 aprile fu per decenni identificato con il monopolio dell'antifascismo da parte dei comunisti. Neppure l'anniversario dell'Unità d'Italia riunì gli italiani nella rielaborazione di una memoria comune. Quando, nel 1961, il Governo democristiano celebrò i primi cento anni di Unità, con la benedizione del Papa, che attribuì a un disegno della provvidenza e agli auspici della Chiesa l'unificazione degli italiani nella identità cattolica della nazione, alte si levarono le proteste degli italiani laici, liberali, radicali, comunisti, socialisti e neofascisti. Poi, iniziò una lunga stagione di oblio della nazione, negli anni più turbolenti della Prima Repubblica. Le feste della nazione divennero scialbi cerimoniali finché furono cancellate dalla memoria e dal calendario delle feste civili. Solo il 25 aprile continuò a infiammare periodicamente la guerra ideologica fra memorie contrapposte. La presenza in Italia del più forte partito neofascista d'Europa trasformò il 25 aprile, da evento storico della nazione, in una giornata di mobilitazione permanente dell'antifascismo militante, contro la minaccia di un fascismo perenne annidato ovunque, nella società e nello Stato. Anticomunismo divenne sinonimo di fascismo. Poi finì la Guerra Fredda, il Partito comunista ripudiò il comunismo, ma il 25 aprile continuò a essere la giornata dell'antifascismo militante. Come avvenne il 25 aprile 1994, quando fu insediato il primo governo Berlusconi, del quale facevano parte anche membri del partito neofascista, diventato nel frattempo postfascista ripudiando il legame col fascismo. Poi, l'antifascismo militante declinò. E con esso la mobilitazione del 25 aprile.
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