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«Einstein» di Liliana Cavani: su Rai Uno la fiction che mostra il lato più umano dello scienziato

di Fabrizio Buratto

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5 OTTOBRE 2008
Intervista a Liliana Cavani

La settima edizione di "Ring!", il Festival della critica cinematografica di Alessandria, si è conclusa sabato 4 ottobre con la proiezione in anteprima nazionale di «Einstein», la fiction diretta da Liliana Cavani ( che andrà in onda su Rai Uno il 20 e il 21 ottobre. Per la verità quella vista ad Alessandria è la versione di due ore pensata per il cinema, mentre la fiction ha una durata di tre ore, come precisa la regista.
Ad interpretare Albert Einstein è Vincenzo Amato, mentre Maya Sansa è Mileva, la sua prima moglie. Prodotta da Ciao Ragazzi e Rai Fiction, la vicenda copre un arco temporale che va dal 1900 spaccato, quando Einstein si laureò al Politecnico di Zurigo, fino al 1955, anno della sua morte. Il grande pubblico conosce poco dello scienziato che ha cambiato la concezione spazio temporale con la formula matematica più famosa al mondo, la cui vita privata è stata parecchio travagliata. Due mogli, un difficile rapporto con i due figli avuti dalla prima moglie Mileva, conosciuta all'Università, e ancora la morte della seconda moglie Elsa dopo l'esilio di Einstein negli Stati Uniti, dove si era rifugiato, una volta lasciata Berlino, per sfuggire alle persecuzioni naziste in quanto ebreo.

La fiction ha il merito di raccontarci tutto questo, spesso da un punto di vista femminile: Liliana Cavani sottolinea l'egoismo di Einstein, rinfacciatogli sia dalla moglie Mileva, sia dai figli, che molto hanno sofferto per la sua mancanza, e di ciò Einstein domanderà perdono, cercando di recuperare il rapporto con tutti loro negli ultimi anni di vita. Ma sarà troppo tardi: "questa volta il tempo ha avuto la meglio", le fa notare Mileva. Già, il tempo, la grande ossessione di Einstein; probabilmente la battuta è romanzata, come altre parti della vicenda, e del resto il linguaggio della fiction richiede agli avvenimenti di essere riletti in chiave romanzesca. Quel che invece risulta discrepante rispetto agli intenti di Liliana Cavani, è il linguaggio delle immagini. "Ho girato questa fiction come se stessi girando un film", ha dichiarato; ebbene, la regia pare molto più televisiva che cinematografica, così sovrabbondante di piani ravvicinati, di campi stretti, esteticamente elementare alla stregua

dell'espediente narrativo che imbastisce i vari periodi della storia: nel 1948 Mileva, dopo molti anni passati senza vedere l'ex marito, va a far visita ad Einstein negli Stai Uniti, a Princeton, dove egli vive da parecchio tempo. I due si siedono al tavolo di un bar per rievocare i momenti felici e quelli bui della loro relazione, in una serie di flash back.

Resta il valore documentale di questo lavoro, che ripercorre alcune tappe terribili del secolo appena concluso: la persecuzione degli ebrei, la distruzione di Berlino, la bomba atomica. Il pacifista Einstein visse con un forte senso di colpa le tragedie di Hiroshima e Nagasaki. Gli USA chiesero la sua collaborazione nella costruzione della bomba atomica per battere i nazisti in una corsa contro il tempo che avrebbe potuto cambiare i destini del mondo: se Hitler fosse venuto in possesso per primo della bomba, non avrebbe esitato a sganciarla. «Use atomic energy for peace», recita il cartello brandito da Einstein in una manifestazione pacifista, e pare proprio quella l'occasione in cui venne scattata la foto con la lingua di fuori che oggi i ragazzi portano stampata sulle magliette come atteggiamento di sfida al mondo.

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