Fedele alla tradizione, Marcel Duchamp passò l'ultimo dell'anno a Rouen, a casa dei genitori. Il 1º gennaio 1924 scrisse una lunga lettera a Ettie Stettheimer (firmandola "Stone of Air") nella quale ci informa del suo stato d'animo: «Mi annoio in modo molto rispettabile. Faccio pochi giochi di parole. Sembra esserci un rallentamento nella produzione. Nessuna nuova attività a Parigi, che io sappia. E anche se ce ne fosse una, non credo che potrebbe interessarmi. Ovunque mi trovi, ho sempre l'impressione di essere in una sala d'attesa.
È faticoso, perché il treno è sempre molto in ritardo. Qualche volta intravedo Leo Stein al Dôme, ma non gli parlo. Mi conosce poco. Do qualche lezione di francese agli americani che si trovano qui. Che altro fare? Gli scacchi, ovviamente, moltissimo. Mi sono classificato abbastanza bene (terzo) in un torneo a Bruxelles. Morirò prima di stufarmi di questo dada. È davvero grandioso. In preda all'impossibilità assoluta di scrivere, malattia che peggiora ogni giorno».
A Parigi, dunque, Marcel si annoia. Lo annoia l'arte, e lo annoiano perfino le parole. Gli scacchi sembrano essere l'unico diversivo, vale a dire l'unico rifugio, da questa noia insopprimibile. Solo gli scacchi lo aiutano a distanziarsi dalle contingenze sociali della vita, dell'arte e perfino dell'amore. Come dichiarerà alla fine della sua vita, gli scacchi lo affascinano non solo perché hanno a che fare con la "materia grigia", ma anche per la loro dichiarata assenza "di destinazione sociale".
«Aggiunga anche – spiega ancora a Pierre Cabanne – che l'ambiente dei giocatori di scacchi è molto più simpatico di quello degli artisti. Si tratta di gente del tutto obnubilata, del tutto cieca, munita di paraocchi. Pazzi di una certa qualità, come si suppone lo sia l'artista che, in genere, non lo è. Questo fu, forse, ciò che più mi interessò. Fui molto attratto dal gioco degli scacchi fino ai quaranta o cinquant'anni, poi, a poco a poco il mio entusiasmo diminuì».
Testimone privilegiato di questa nuova passione è Man Ray, che abita nel suo stesso albergo e che per mantenersi «in esercizio e non perdere i contatti con i movimenti artistici dell'epoca» ha realizzato anche un suo ritratto a olio, intitolato Cela Vit.
«Nei tre anni che trascorse a Parigi – racconta Man Ray –, Duchamp non restò inattivo: aveva rinunciato alla pittura, ma gli scacchi lo assorbivano sempre di più; dedicava molto tempo allo studio del gioco, e ne frequentava i vari circoli. Io restavo un giocatore di terz'ordine, uno scaricatore, come diceva Duchamp. Preferivo inventare nuove forme di scacchi, cosa che non interessava affatto i giocatori, ma che era per me un fertile terreno d'invenzione. Duchamp condivideva il mio interesse perché un tempo aveva fatto progetti simili in Argentina, per esempio, anche se poi li aveva abbandonati, assorbito com'era dal gioco».
Stando a François Le Lionnais, l'approccio agli scacchi di Marcel Duchamp è particolarmente serio e ortodosso, apparentemente opposto al suo modo di rapportarsi all'arte: «Applicava regole assolutamente classiche, era forte nella teoria, aveva studiato la teoria degli scacchi nei libri. Era molto conformista, il che costituisce un modo eccellente di giocare. Nel suo gioco – prosegue Le Lionnais – non vedo nessuna traccia dello stile dada o anarchico, sebbene sia assolutamente possibile. Per introdurre le idee dada nel gioco degli scacchi, sarebbe stato necessario essere un genio degli scacchi, più che un genio dada. Secondo me Nimzowitsch, il grande giocatore di scacchi, era dadaista prima di Dada. Duchamp lo identificherà come il suo "dio". Ma non sapeva niente di Dada. Egli introdusse un anticonformismo fatto di idee apparentemente stupide ma che permettevano di vincere. Io non riconosco questo aspetto dada nel gioco di Duchamp. Ciò che invece vi riconosco è una grande onestà: era molto serio e molto diligente. Questo aspetto si ritrova nel modo in cui ha affrontato La sposa messa a nudo. Forse si trattava di un aspetto fondamentale della sua personalità: era una persona molto seria».
Il modo in cui verrà commentata la vittoria di Duchamp al Campionato di scacchi di Normandia
nel settembre del 1924 non farà che confermare queste affermazioni: «Il signor M. Duchamp, campione dell'Alta Normandia, ha ben meritato il titolo per il suo gioco profondo e solido. La sua freddezza imperturbabile, il suo stile ingegnoso e il suo modo impeccabile di sfruttare ogni minimo vantaggio ne fanno un avversario sempre formidabile».
In attesa del torneo internazionale di Nizza previsto fra il 5 e il 15 aprile 1924, Duchamp ne approfitta per frequentare le sale da gioco del casinò di Montecarlo. «Oltre che agli scacchi – scrive a Jacques Doucet – mi interesso molto al "Trenta e Quaranta". Ho tentato diversi sistemi, perdendo come un novellino. Ora che ho più esperienza sono arrivato a risultati più soddisfacenti. Gioco senza puntare e mi difendo benissimo. Tutto ciò naturalmente porta all'ovvia conclusione. Ho bisogno dei miei ultimi duemila, i soldi che mancano per "saldare" lo scambio. Il miglior risultato ottenuto è questo: non sono affatto un giocatore. Passo interi pomeriggi nelle sale da gioco senza provare la minima tentazione. Tutto quello che ho perso l'ho perso di mia spontanea volontà e non sono ancora stato contagiato dalla "frenesia" della sala da gioco. Questa vita mi diverte moltissimo». (anticipazione da "Domenica Il Sole 24Ore")