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Donne sull'orlo di una crisi politica e religiosa: da Marjane Satrapi a Neda

di Boris Sollazzo

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24 giugno 2009

Ci sono capolavori che perdono il loro significato originario, che appaiono superati e anacronistici. Altri invece che hanno in se la profezia di una Storia che si ripete, peggiorandosi, come Persepolis. Fumetto e film, sono figli di Marjane Satrapi, una quarantenne iraniana arrabbiata e geniale, una donna che ha saputo mettere nero su bianco un'insieme di nuvole parlanti (in bianco e nero) che attraverso la sua vita e i suoi drammi personali ci raccontassero l'assurdità del conflitto di civiltà e culture, la violenza del regime iraniano in tutte le sue forme.

La sua graphic novel autobiografica (edita da Lizard in Francia e Sperling e Kupfer, in due volumi, in Italia) rappresenta la linea d'ombra di un genere, di una generazione e di un paese. Di una rivoluzione culturale che doveva essere utopia realizzata ed è divenuta una cappa di fondamentalismo e maschilismo da cui Marjane è stata costretta dai genitori- figure umane, eroiche e tragiche- a scappare. Trovando l'ignoranza e l'ottusità religiosa, politica e culturale anche nei pregiudizi europei. Lei li affronta con pathos, umorismo, sensibilità e durezza. Con gli occhi di chi ha visto tutto ma non ha smesso di sperare. Gli occhi di Marjane, sono quelli di Neda (la ragazza simbolo uccisa a Teheran durante le manifestazioni): che, morta in quello sguardo straziante mostra un'incredulità atroce.

Persepolis ha vinto un premio importante due anni fa a Cannes, è uscito un anno e mezzo fa in Italia (proprio mentre sfiorava l'Oscar), ma ci parla più di allora. Lo sa anche la Bim di Valerio De Paolis che a Milano (all'Anteo da mercoledì), ma anche a Roma e Torino (rispettivamente al Fiamma e all'Eliseo da venerdì) prepara una nuova uscita speciale della pellicola. Un cartellone cinematografico quello entrante, che vive delle coincidenze e corto circuiti che solo l'arte sa regalare. Non c'è solo Persepolis, ma anche Crossing over, opera di Wayne Kramer con Harrison Ford e Ashley Judd con cui si racconta l'odissea tutta americana dell'immigrazione clandestina, della naturalizzazione, della green card. Di un filo-khomeinista che aveva troppi amici nelle regie stanze dello Scià e che è fuggito con la famiglia in un paese che adula e disprezza. Ancora Iran, ancora la teocrazia che distorce vite, una cultura straordinaria, la voglia di vivere di un popolo.

Per non parlare del film che proietterà la ricca seconda edizione del Festival Senza Frontiere (1-3 luglio, Casa del Cinema, Roma http://www.withoutbordersfilm.org), Head Wind, documentario sul peso insostenibile della censura in Iran, al centro anche di uno dei film più apprezzati a Cannes: Nobody knows about Persian cats. O ancora Penalty, applauditissimo all'ultimo Taormina Film Fest. E quattro di questi cinque film, quelli di finzione, ci parlano di donne, ragazze (nell'ordine: una giovane intellettuale, un'anticonformista disinibita e bellissima, una musicista, persino delle tifose di calcio!) che trovano l'energia lì dove gli uomini provano solo rassegnazione o disperazione. L'Eye of the tiger di Rocky che Marjane canta nel fumetto (le sue strisce sono presenti da anni sulla rivista settimanale "Internazionale") e che nel film fa stonare a Chiara Mastroianni, segno che la rivoluzione nasce lì dove la restaurazione si accanisce: sulle donne.


E si annida nel cinema, nelle arti visive: è un caso forse che a Bruxelles hanno parlato e protestato Marjane Satrapi e il regista Moshen Makhmalbaf, addirittura portavoce del candidato opposto al regime Mousavi? Lui padre di Samira, e femminista da tempi non sospetti, e lei, coraggiosa combattente contro gli opposti fondamentalismi religiosi (anche quelli cristiani e occidentali: le gerarchie ecclesiastiche sono accomunate nell'ottusa violenza fisica e morale nei suoi fumetti, e non ha mai avuto paura di segnalare gli attacchi alla donna e al suo corpo anche nella "civile" Europa). Loro hanno sostenuto che sono stati ignorati 19 milioni di voti, per i brogli.

Ed è Marjane, che ora è una Cassandra addolorata, a fare fatica a parlare, a non rilasciare interviste da una settimana, o quasi, da quando ha chiamato le ultime elezioni, "un colpo di stato". Perché Neda è lo specchio della sua lotta, perché se fosse rimasta nel paese che ama e che odia- "sono straniera ovunque, è la mia fortuna e la mia condanna"- quegli occhi potrebbero essere i suoi. Le donne cambieranno l'Iran e il mondo. Ma quanti sguardi di quel tipo, quanti eye of the tiger, quante Neda dovremo sopportare?

24 giugno 2009
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