«No, non sono affatto pentito dei miei modelli matematici per stabilire il valore dei prodotti derivati e nella gestione dei rischi», dice sorridendo Robert C. Merton, seduto nella sua poltrona della camera d'albergo del Four Seasons a Milano mentre arrivano a getto continuo, annunciati da un bip, messaggi sul suo blackberry. «No, non abbiamo bisogno di un nuovo paradigma economico, ma al contrario dobbiamo usare la crisi come un'opportunità per migliorare il sistema finanziario globale, dove non ci sono porti sicuri e soprattutto senza guardare nel retrovisore della storia, ai modelli degli anni 30».
Merton, premio Nobel per l'economia nel '97, è l'ideatore della superformula, il modello di Black-Scholes-Merton sull'andamento nel tempo del prezzo dei derivati, che elaborata negli anni 70, partendo dagli studi di Robert E. Lucas, uno dei padri della scuola delle "aspettative razionali", diventò dominante negli anni 90, pretendendo di annullare il rischio dagli investimenti. Le cose sono andate diversamente, con la peggior crisi dagli anni della Grande depressione, con la scomparsa di un big come Lehman Brothers, e il salvataggio del più grande gruppo assicurativo del mondo, l'Aig, per 85 miliardi di dollari.
Tutto questo parziale elenco d'errori non sconvolge Merton, che ripete «come ogni virtù possa diventare un vizio se portato all'estremo, come nell'applicazione dei modelli matematici nella pratica finanziaria». «La matematica dei modelli era precisa, ma non i modelli, essendo solo approssimazione alla complessità del mondo reale».
Chiaro? Il problema è «l'uso o l'abuso dei modelli» che ha portato ad assumere rischi sproporzionati da persone incompetenti, spesso sedute nel board di aziende.
Un mix d'avidità di banchieri, d'inesperienza, d'incapacità di usare correttamente le tecnologie. Eppure già a marzo 2008, Alan Greenspan, che per 18 anni è stato il primo banchiere centrale del mondo, aveva accennato a «modelli troppo semplici per catturare la realtà». Un'accusa velenosa, ripresa il 23 ottobre davanti alla Commissione Controllo della Camera, a Washington, quando aveva affermato che tutta l'impianto intellettuale sorretto dalla matematica finanziaria e premiato con un Nobel a Stoccolma era crollata come un castello di carte. «La realtà è che nessuna banca centrale può funzionare senza l'uso di modelli matematici», ribatte piccato Merton che ricorda come non sia un problema di nuove regole o nuovi poteri di controllo, magari sognando il ripristino della Glass-Steagall Act, la legge che aveva separato le banche commerciali da quelle d'investimento.
Il mondo della politica, invece, la pensa diversamente e sia negli Stati Uniti, con la concessione di nuovi poteri di controllo alla Fed sulla stabilità dei mercati, sia in Europa, con il recente via libera anche della City all'adozione a Bruxelles di un European Systemic Risk Board sotto la regìa della Bce, si va verso più poteri e regolamenti. «No, non è la strada giusta quella della super-regolamentazione. La finanza non è l'ancella dell'economia reale: tra economia reale e finanza c'è lo stesso rapporto che passa tra hardware e software, senza l'uno non c'è l'altro». Per questa è importante capire che non è il «modello sbagliato, ma il modo come è stato usato».
Merton, 65 anni, che lavora da un ventennio alla Harvard Business School, dove si era trasferito dopo 20 anni dal vicino Mit, e dove insegna tuttora, pensa che «la finanza resti un sistema distributivo per trasferire il rischio» in modo ottimale. Ecco perché «la cartolarizzazione è stata un buon lavoro», perché ha distribuito il rischio tra vari soggetti e permesso a molti di accedere al credito. Il problema è che a un certo punto si è rotto il nesso tra chi aveva costruito il contratto e chi lo aveva spacchettato e venduto acquistando rischi di cui non era a conoscenza. «Un problema vero - ammette il Nobel - di mancanza d'accesso alla documentazione».
Merton, amico di Franco Modigliani e che oggi parlerà alla Bocconi di Milano per il congresso 2009 della European Financial Management Association (Efma), durante le tre giornate del congresso, sotto il coordinamento scientifico di Stefano Gatti e Stefano Caselli, si è fatto un'idea precisa del perché sia scoppiata la crisi. La "tempesta perfetta" è arrivata dalla somma di tre fattori: il taglio dei tassi operati da Greenspan; l'aumento dei prezzi delle case, che ha portato alla bolla immobiliare; l'aumento dell'efficienza di allocazione dei mutui, che ha portato il costo di queste operazioni vicine allo zero. Prese a sé le tre cause non avrebbero provocato alcuna conseguenza, messe insieme hanno messo in moto la valanga.
I critici, però, non demordono e affermano che dopo la crisi neppure la matematica finanziaria sia affidabile. Anzi, è erronea nei suoi fondamenti, anche se raffinata metodologicamente. Senza contare che, se usata con disinvoltura, come con le cartolarizzazioni e i collaterali, porta ad affetti leva (negativi) spaventosi. Fermare i derivati e i modelli collegati è come «fermare l'uso d'internet in Iran: è semplicemente impossibile», ribatte Merton.
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