Che impressione ho ricavato da questa edizione del Forum economico mondiale di Davos? La sensazione era quella di stare al capezzale di qualcuno che è sopravvissuto a un attacco di cuore ma non sa quanto tempo gli ci vorrà per recuperare appieno il suo vigore, e non sa neanche se tornerà effettivamente come prima. L'umore dei Davos-men era, come ha sottolineato il mio collega Gideon Rachman, improntato all'ansia. Nel frattempo i partecipanti a un happening ancora in prevalenza occidentale guardavano al giovanile vigore delle economie emergenti con ammirazione, invidia e perfino paura.
Per quanto mi riguarda, il clou del programma è stato la sessione domenicale sulla situazione economica, e non solo perché ero io il moderatore. Il punto di partenza della discussione era scontato: le misure adottate tra la fine del 2008 e il 2009 sono state un indiscutibile successo. Il risultato è stato una recessione molto più breve e meno drammatica di quanto la maggior parte dei partecipanti al Forum si immaginava un anno fa. CONTINUA ...»
Un successo che risulta evidente dalle previsioni per il 2010. Per quasi tutte le economie importanti, le previsioni di crescita per quest'anno sono più alte rispetto a dodici o addirittura sei mesi fa. L'economia mondiale è sopravvissuta all'infarto del sistema finanziario.
Ci è riuscita grazie a stimoli monetari e di bilancio senza precedenti in tempo di pace. Queste misure sono state fondamentali ed efficaci. Era inevitabile, in particolare, che i maggiori incrementi del disavanzo pubblico avvenissero in quei paesi dove la bolla creditizia del settore privato aveva assunto le dimensioni maggiori: soprattutto gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Spagna. Anche la Cina ha messo in piedi un imponente programma di stimolo, come ha fatto notare nel corso del dibattito Zhu Min, vicegovernatore della Banca popolare cinese.
I grandi interrogativi di quest'anno sono: con quanta velocità vanno revocati gli stimoli monetari e di bilancio, e da dove è meglio cominciare.
In tutto il mondo ci sono forti pressioni per avviare subito la manovra di "rientro". Qualcuno (specialmente esponenti del Partito repubblicano negli Usa) sostiene che gli stimoli hanno fallito il loro obiettivo perché l'economia non è tornata alla piena occupazione, e vanno revocati all'istante. Ci sono argomenti molto più plausibili per sostenere la loro inadeguatezza. Ma il "come sarebbe andata se" non ha un gran successo in politica: dire "vi abbiamo salvato da una depressione" non è uno slogan che fa guadagnare voti.
Ragionando sulla "exit strategy" ho citato un ideogramma inventato da Martin Sorrell del Wpp Group, il "Luv", che indica la forma che assume la ripresa rispettivamente in Europa, in Nordamerica e nelle economie emergenti. Le misure da adottare variano a seconda dello stato delle diverse economie: in Europa ci sono ragioni per tenere in piedi gli stimoli, nei paesi emergenti meno.
È la tesi sostenuta da Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale, che ha fatto anche un'altra osservazione: se revochiamo gli stimoli troppo tardi, rischiamo di sperperare risorse in deficit e debiti pubblici eccessivi; se li revochiamo troppo presto, corriamo il rischio di una recessione a W, che infliggerebbe un colpo devastante alla fiducia. Tenendo conto di questa asimmetria, non è il caso di revocare tanto presto le misure di stimolo.
Considerando che Strauss-Kahn rappresenta un'istituzione ossessionata dai conti pubblici, le sue parole hanno molto peso. Per il momento ci sono pochi segnali di una forte impennata della domanda finale del settore privato nei paesi ad alto reddito. Finché le cose resteranno così, c'è il pericolo di una revoca prematura del puntello finanziario. Quelli che servono sono piani credibili per un rientro dal deficit sul medio termine, ma l'attuazione di questi piani dipenderà dalle condizioni economiche. Nel frattempo, la politica monetaria deve continuare a fare la sua parte.
Ma la strategia di uscita è solo la sfida più immediata. Altri due compiti più di lungo periodo ci aspettano: la riforma del settore finanziario e il riequilibrio duraturo della domanda nell'economia mondiale. Su entrambi i punti, non siamo ripartiti da Davos con ottimismo. A prescindere dai meriti del provvedimento, l'annuncio unilaterale del presidente Barack Obama della "regola Volcker" sulle attività di compravendita in proprio delle banche è stato uno shock, anche se qualcuno ha accolto favorevolmente il rinnovato slancio politico.
Non è nemmeno chiaro se il "programma di valutazione reciproca" lanciato dai capi di governo del G-20 a Pittsburgh lo scorso settembre otterrà il necessario supporto. Ma troppi paesi puntano su una crescita trainata dalle esportazioni per riequilibrare la revoca degli stimoli interni. È una via che porta alla stagnazione. Il pianeta è uno, non possiamo mica sperare in un saldo attivo con Marte.
Tutto questo ci lascia con un grande interrogativo: tenere in piedi un'economia mondiale aperta è possibile? I rappresentanti delle economie emergenti restano nettamente favorevoli al riguardo. Ma, come si è compiaciuto di sottolineare il presidente francese Nicolas Sarkozy nel suo discorso inaugurale, la crisi finanziaria ha delegittimato l'economia di mercato globale agli occhi di molti occidentali. A tratti sembrava di sentir parlare un militante no global.