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LA GOVERNANCE GLOBALE / Segnali deboli dai nuovi poteri forti

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04 febbraio 2010

Dopo la crisi, di che cosa parliamo troppo e di che cosa parliamo poco? Ieri, Moisés Naím ha incontrato i giornalisti del Sole 24 Ore in un forum sui temi della globalizzazione, delle nuove regole per la finanza, della politica americana, dell'avanzata della Cina. Della discussione riportiamo i principali interventi.

MOISÉS NAÍM. Sulla scena mondiale, si possono percepire weak signals, segnali deboli che avranno peso in futuro. Non penso solo ai talebani, ai pirati al largo della Somalia, ma soprattutto ai nuovi attori della finanza che operano nello shadow financial system. "Ombre" non perché agiscono in modo illegale ma perché si muovono ai margini delle regole. Quelle che i governi non si curano di stabilire. Come pure tralasciano l'azione collettiva: il deficit più pericoloso del mondo non è quello fiscale, né quello commerciale, ma il gap tra la necessità di azione collettiva a livello internazionale e la capacità del mondo di rispondere ai bisogni. Un fenomeno simile si verifica nel sistema finanziario: nessun paese può agire da solo. In ogni crisi i politici ripetono gli stessi auspici. Ci saranno nuove regole, ma gli attori del shadow financial system troveranno il modo d'infilarsi nelle differenze legislative che ci saranno fra i paesi: nel cuneo delle asimmetrie legislative troveranno il modo di speculare. Non dimentichiamo il fantasma del 10+10: guai in vista se diventano strutturali il 10% di disoccupazione negli Usa e il 10% di crescita annuale in Cina non solo per i rapporti (necessari e difficili) fra le due potenze, ma per gli equilibri del mondo.

SARA CRISTALDI. È possibile che il "Washington consensus" sia sostituito dal "Beijing consensus" quanto meno come modello d'attrazione per i paesi emergenti?

M.N. Oggi l'espressione Washington consensus ha perso il suo significato; il Beijing consensus è un magnete ma ha un prerequisito (quello del partito comunista cinese) che non è facilmente replicabile.

PAOLA BONOMO. Finalmente una lotta ad armi pari tra Google e Cina?

M.N. Il duello fra i due colossi è durato solo 48 ore: sono troppi gli interessi di Google in Cina e non c'è dubbio che, nel lungo periodo, la Cina perderà la sua battaglia. Nel paese ci sono milioni di giovani che cercano d'inventare ogni via possibile per evitare che il governo blocchi le loro possibilità di comunicare con il mondo.

ENRICO BRIVIO. Non c'è forse ambiguità da parte di alcuni governi che considerano la Cina ancora un paese emergente? L'Europa vive una fase di crisi o è sempre un modello da proporre?

M.N. La Cina ha un atteggiamento nuovo: è molto aggressiva nei vertici internazionali, aspira a essere una superpotenza. Ma non bisogna dimenticare che a poche ore di auto da Shanghai o da Pechino la gente vive ancora nel Medioevo. Questa sensazione d'importanza della Cina potrebbe creare tensioni con la vicina India. Forse proprio la frontiera tra i due paesi potrà diventare la più pericolosa del mondo. Sul tema dell'Europa vi segnalo la riflessione di Robert Fogel su Foreign Policy: numeri alla mano, fra 40 anni il progetto europeo potrebbe avere una voce unica, una presenza coordinata, ma non sarà riuscito a superare i suoi problemi strutturali.

MARIO MARGIOCCO. A causa dell'inadeguatezza delle classi dirigenti ritiene che ci sia divaricazione crescente e pericolosa tra cittadini e classe politica degli Stati Uniti? Questo segnale peserà nelle elezioni di novembre?

M.N. Di certo, molti politici sono inadeguati: lo scrivevamo anche venti-trent'anni fa. Il tema è ricorrente, come pure la mancanza di fiducia. Per quanto riguarda gli Usa facciamo attenzione: non bisogna trarre conclusioni affrettate dalla sconfitta dei democratici in Massachusetts, dalle difficoltà che incontra l'iter della riforma sanitaria, o dal calo di popolarità dello stesso Obama. Tutto vero, ma il presidente e il suo staff lo sanno e stanno lavorando per reagire a questa situazione. D'altro canto, di fronte hanno un'opposizione repubblicana disunita: fra i repubblicani ci sono economisti che parlano solo di problemi fiscali e dirigenti preoccupati per i matrimoni gay.

  CONTINUA ...»

04 febbraio 2010
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