C'è sempre una vulgata che passa di bocca in bocca, non corrisponde molto alla storia vera, e per farlo dimentica pezzi che guasterebbero il quadretto. Ad esempio, il cruciale 1937 è sistematicamente ignorato dalla vulgata degli anni 30 americani e del New Deal, ricchi di insegnamento oggi anche per l'Europa, che allora viveva le sue convulsioni post e pre belliche e ha poco da insegnare.
La vulgata dice che Franklin Roosevelt arrivando nel marzo del 1933 applicò la ricetta keynesiana della spesa pubblica a oltranza e alla fine, ci volle qualche anno, risollevò l'economia. Happy days are here again diceva la canzone della campagna roosveltiana del '32. Sembrava quasi vero, riuscito, a inizio '37. Non ancora happy, ma almeno un po' meno gloomy. Poi, a '37 inoltrato, un secondo capitombolo, per certi aspetti peggiore di quello del '29-30. Per una serie di errori che, ha scritto domenica Paul Krugman sul New York Times, l'amministrazione Obama non deve ripetere. Krugman insiste da tempo su questo e lo dicono dalla scorsa primavera anche altri economisti fra cui Christina Romer, capo dei consiglieri economici della Casa Bianca.
Obama non deve ripetere l'errore, se non vuole finire al suono triste di un'altra canzone legata alla politica di quegli anni, chiesta per rincuorare gli animi dal presidente Hoover allo sciagurato Rudy Vallee, e che è diventata il simbolo di quella stagione da dimenticare: Brother, can you spare a dime? Ovvero: Fratello, ti avanzano dieci centesimi? La vulgata non tiene conto che John Maynard Keynes cercò invano di convincere Roosevelt a spendere davvero. Lo fece con una famosa lettera aperta, a fine '33, e con una visita nell'estate del '34. «Ho visto il suo amico Keynes. Mi ha lasciato una completa filastrocca di cifre» disse il presidente al suo ministro del Lavoro, Frances Perkins, che aveva sollecitato l'incontro. «Deve essere un matematico piuttosto che un esperto di economia politica». Quanto a Keynes, confessava «di aver sperato che il presidente fosse più acculturato, in fatto di economia».
La storia che il New Deal risollevò l'economia spendendo non sta in piedi. Roosevelt avviò molti programmi ma decise anche drastici tagli, dimezzando ad esempio i 40 dollari al mese di pensione per i veterani della prima guerra mondiale. Una delle accuse che più lo facevano infuriare era quella di non avere sensibilità per il pareggio del bilancio, che invece perseguì con determinazione, e varie contraddizioni. Dette un lavoro – opere pubbliche a picco e pala – e pane a 8 milioni e mezzo di americani, ma spese alla fine poco, non molto oltre i 500 miliardi, in dollari di oggi. Nulla se si pensa che il solo Recovery Act di Obama approvato a febbraio è di 787 miliardi. Se si aggiungono i 150 miliardi decisi l'anno prima da George Bush si arriva a una cifra quasi doppia rispetto a quella di Roosevelt, solo con questi due programmi.
«Se daremo ascolto alle voci sbagliate, rischiamo di ripetere gli errori del 1937, quando la Fed e l'amministrazione Roosevelt decisero che la Grande depressione era finita» scrive adesso Krugman. Con i suoi articoli bisettimanali e il suo blog, il Nobel 2008 è un vero maître à penser nell'America di Obama, riferimento in particolare dei progressisti, spesso scettici sulle scelte del presidente che hanno con così tanto fervore eletto.
Il '37 fu in effetti l'unico anno passabile del decennio, con la disoccupazione scesa sotto gli 8 milioni (attorno al 14%, ma era stata al 25 e oltre), e la produzione industriale che per un paio di mesi sfiorò i livelli del '29. Ma il 1937 finì malissimo perché Roosevelt pensò al bilancio, bloccò ingenti pagamenti di un bonus ai veterani, avviò la raccolta dei contributi del sistema pensionistico pubblico creato nel '37, e tagliò varie spese. La Fed a sua volta, nella convinzione che la ripresa fosse avviata e il rischio fosse inflazionistico, stringeva i cordoni. Il risultato è che l'America ripiombò nella depressione, la disoccupazione risalì verso il 20 per cento, e la traiettoria dell'economia del decennio risultò alla fine quella di una W. La risalita definitiva incominciò nella prima seduta di Borsa dopo il Labour Day del 1939, a settembre, perché la notizia della guerra in Europa era il segnale che le fabbriche e le fattorie americane avrebbero ripreso a lavorare a pieno ritmo.
Krugman e l'altro campione dei progressisti nella scuderia dei Nobel, Joseph Stiglitz, chiedono da tempo un secondo piano di stimolo da 400-500 miliardi. Ma con i conti federali che si stanno rapidamente avviando a un debito sul Pil di livello italiano è difficile chiedere altri stanziamenti al Congresso. Giudicato un buon programma anche dai molti critici della politica economica (e soprattutto finanziaria) del governo Obama, il Recovery Act è servito soprattutto a neutralizzare i tagli e gli aumenti di imposte, per circa 400 miliardi, che gli stati hanno deciso, tenuti per legge a preventivi di spesa in pareggio. Già a marzo Romer, che come il presidente Bernanke è un'esperta sull'economia degli anni 30, metteva in guardia contro il rischio di ripetere gli errori del '37. «Occorre fare attenzione e a non ridurre gli stimoli troppo presto» diceva parlando il 9 marzo a Washington, ricordando che la crescita del Pil fu robusta nel '34-36, partendo dai bassi livelli del 1930, e arrivando nel dicembre '36 a toccare i livelli industriali del '29.
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