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Dieci anni di passione per la periferia di Eurolandia

di Martin Wolf

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6 gennaio 2010

Che cosa sarebbe successo durante la crisi finanziaria se l'euro non fosse esistito? In breve, ci sarebbe stata una serie di crisi valutarie fra i suoi membri. Le valute di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna sicuramente sarebbero precipitate rispetto al vecchio marco tedesco. Questo è l'esito che i creatori dell'euro volevano evitare, e ci sono riusciti. Ma se il tasso di cambio non può adeguarsi, qualcos'altro deve farlo. Questo qualcos'altro sono le economie dei paesi alla periferia della zona euro, bloccate inuna disinflazione competitiva contro la Germania, il maggior esportatore mondiale di prodotti manifatturieri di alta qualità. Buona fortuna.

Eurolandia pesa. La sua economia è grande quasi quanto quella degli Stati Uniti e tre volte più grande di quella del Giappone o della Cina. Fino a questo momento, ha superato il test iniziale. Però il calo dal punto più alto a quello più basso per l'economia Usa è stato solo del 3,8% (dal secondo trimestre 2008 al secondo trimestre 2009), mentre per Eurolandia è stato del 5,1% (dal primo trimestre 2008 al secondo trimestre 2009).

Più importante della perfomance complessiva della zona euro è quello che succede al suo interno. Bisogna partire dallo schema avanzi-disavanzi delle partite correnti. Nel 2006, la zona euro era più o meno in equilibrio: al suo interno, però, c'erano la Germania, con un surplus enorme di 190 miliardi di dollari (6,5% del prodotto interno lordo), e l'Olanda, con un surplus di 64 miliardi di dollari (9,4% del Pil); all'altra estremità c'erano gli importatori di capitali, la Spagna in testa, con un deficit colossale di 111 miliardi di dollari (9 per cento del Pil).
Molti sostengono che all'interno di un'unione monetaria i disavanzi delle partite correnti contano quanto quelli fra lo Yorkshire e il Lancashire. Si sbagliano. I paesi in disavanzo sono venditori netti di titoli al resto del mondo. Che succede se gli abitanti del resto del mondo vendono questi titoli o ritirano i loro prestiti? La risposta è una recessione. Ma all'interno di uno stato la gente può trasferirsi con relativa facilità in un'altra regione.

Quando c'è di mezzo un confine,disolito è molto più complicato. Ed ecco un'altra grande differenza. Il governo spagnolo non può rispondere alle rimostranze dei disoccupati spagnoli sostenendo che le cose non vanno tanto male in altri punti di Eurolandia. Deve offrire una soluzione nazionale. L'interrogativo è quale.
Prima della crisi, i Paesi della periferia avevano un eccesso di domanda rispetto all'offerta, mentre i Paesi del centro erano nella situazione opposta. Non essendoci grandi differenze a livello di bilanci pubblici, la divergenza andava cercata nei meccanismi della domanda privata: nel 2006, il settore privato, in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, spendeva molto di più di quello che guadagnava, mentre in Germania e in Olanda spendeva molto meno.

Poi è arrivato il disastro. Inevitabilmente, i settori privati più estesi sono stati quelli più colpiti. Tra il 2006 e il 2009, in Irlanda, Spagna e Grecia, il settore privato ha avuto oscillazioni nel rapporto fra entrate e uscite rispettivamente del 16, 15 e 10 per cento del Pil. Anche il risultato era abbastanza prevedibile: un colossale deterioramento dei conti pubblici. Questo evidenzia un punto che gli economisti sembrano sorprendentemente riluttanti a recepire: lo stato delle finanze pubbliche è insostenibile se il finanziamento del settore privato è insostenibile. E proprio questa era la situazione in quei Paesi, con conseguenze drammatiche, man mano che la crisi si palesava.

Nel suo primo decennio di esistenza, gli squilibri all'interno della zona euro (e le bolle ad essi associate) hanno finito per danneggiare gravemente la reputazione dei settori privati delle economie in boom. Ma ora stanno danneggiando la reputazione del settore pubblico. Gli spread di rischio sui mercati finanziari sono scesi, ma quelli relativi al debito pubblico dei Paesi della zona euro costituiscono un'importante eccezione. Gli spread sui Bund tedeschi a 10 anni sono passati da livelli normalmente trascurabili a livelli elevatissimi: nel caso della Grecia, recentemente hanno raggiunto i 274 punti base.

Il compianto Charles Kindleberger, del Mit,sosteneva che per un'economia aperta ci vuole un Paese egemone. Uno dei suoi ruoli è quello di fare da spenditore e prestatore di ultima istanza in una crisi. Il Paese egemone, quindi, è il Paese con la reputazione migliore, e nella zona euro, è la Germania. Ma la Germania è un Paese che prende in prestito, non un Paese che dà in prestito, e sicuramente tale rimarrà. Stando così le cose, quel ruolo dev'essere ricoperto da prestatori più deboli, con risultati drammatici per il loro rating. Dove vanno a finire allora i Paesi periferici?

La risposta è: in una recessione strutturale. A un certo punto dovranno tagliare il disavanzo di bilancio. Senza compensazioni monetarie o del tasso di cambio, questi tagli sicuramente aggraveranno la recessione già provocata dal crollo della spesa privata prima alimentata dalla bolla. C'è di peggio: negli anni del boom, questi Paesi hanno perso competitività all'interno della zona euro. Questo anche per ragioni intrinseche al sistema: i tassi di interesse fissati dalla Banca centrale europea, che puntavano a bilanciare domanda e offerta all'interno di Eurolandia, erano troppo bassi per i Paesi della bolla; con un'inflazione relativamente alta in settori che producevano beni non scambiabili, i tassi di interesse reali in questi Paesi erano relativamente bassi. Una perdita di competitività esterna e una forte domanda interna hanno allargato ildeficit con l'estero,generando la domanda necessaria per i Paesi del centro con eccesso di capacità produttiva. Per aggiungere al danno la beffa, dal momento che il Paese centrale è altamente competitivo a livello globale e la zona euro ha una posizione solida con l'esteroe una valuta robusta, l'euro stesso si è apprezzato fortemente.

  CONTINUA ...»

6 gennaio 2010
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