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Tutto questo lascia i Paesi periferici chiusi in una trappola: non possono generare un'eccedenza nel saldo con l'estero dall'oggi al domani,non possono far ripartire facilmente il borrowing del settore privato e non possono sostenere con facilità gli attuali disavanzi di bilancio. L'emigrazione di massa sarebbe una possibilità, ma certamente non sarebbe raccomandabile. L'immigrazione di massa di stranieri ricchi, per vivere in case ora a buon mercato, sarebbe sicuramente meglio. Ma nella peggiore delle ipotesi potrebbe rendersi necessaria una lunga recessione per produrre una riduzione dei prezzi e dei salari nominali.
L'Irlanda sembra aver accettato un futuro del genere. La Spagna e la Grecia no. Per giunta, il Paese colpito subirebbe anche una deflazione da indebitamento: con la caduta dei prezzi e dei salari nominali, il peso reale del debito denominato in euro salirebbe, profilando il rischio di un'ondata di default (privati e addirittura pubblici).
La crisi nella periferia di Eurolandia non è un caso: è intrinseca al sistema. I membri più deboli devono trovare una via d'uscita dalla trappola in cui sono finiti. Di aiuto gliene arriverà ben poco: la zona euro non ha nessuno disposto a interpretare il ruolo di spenditore di ultima istanza, e l'euro stesso è molto forte. Ma devono farcela. Quando fu creata la zona euro ci fu un grande dibattito scientifico fra chi sosteneva che fosse un'unione monetaria ottimale e chi sosteneva il contrario. Che non lo era, adesso lo sappiamo. Ora stiamo per scoprire se questo conta o meno.
(Traduzione di Fabio Galimberti)