L'anno trascorso dalla precedente edizione del Workshop Ambrosetti è stato cruciale per noi che ci siamo sempre sentiti e ci sentiamo impegnati senza riserve nella storica impresa della costruzione europea: è stato un anno cruciale perché ci ha dato drammaticamente il senso delle responsabilità dell'Europa, delle prove e delle sfide cui è esposto il ruolo dell'Europa nel mondo d'oggi. In un mondo cioè percorso da cambiamenti radicali nei suoi equilibri, e investito da una crisi globale che ha colpito le nostre economie e le nostre società e messo in questione le prospettive del nostro sviluppo.
Non dobbiamo sottovalutare, io credo, gli sforzi compiuti e i contributi offerti dall'Unione Europea, in primo luogo nel semestre di presidenza francese. I piani di rilancio allora adottati di fronte al manifestarsi della crisi in tutta la sua gravità hanno dato dei risultati, come hanno sottolineato avantieri, nella loro lettera al presidente di turno del Consiglio, il cancelliere signora Merkel, il primo ministro Brown e il presidente Sarkozy. Ed essi hanno ragione nel ribadire che quei piani vanno portati avanti risolutamente, perché "la crisi non è terminata" e comunque è destinata a provocare serie conseguenze sul mercato del lavoro nei prossimi mesi.
C'è tuttavia da riflettere sulle difficoltà e sui limiti, politici e istituzionali, che hanno impedito all'Unione di andare al di là della condivisione e concertazione di indirizzi da perseguire concretamente paese per paese. Quali maggiori risultati e vantaggi si sarebbero potuti conseguire definendo progetti e azioni comuni, mettendo in opera strumenti comuni? È questa una domanda, è questa una verifica, alla quale mi pare difficile sfuggire.
È comunque importante che l'Europa abbia saputo fare la sua parte nel nuovo contesto di collaborazione mondiale che è venuto emergendo nell'ultimo anno: così, in particolare, nel G-20 di Londra. Ed è importante che in vista del nuovo G-20 di Pittsburgh l'Unione Europea si impegni - come hanno suggerito nella lettera da me già citata, tre autorevoli capi di Stato e di governo - sui temi di un nuovo quadro di regole per il settore finanziario: temi su cui si è specificamente molto impegnata l'Italia in occasione del G-8 dell'Aquila, nella comune convinzione che si debba in questo momento bloccare il rischio di un ritorno a pratiche e comportamenti che hanno provocato una così grave crisi finanziaria come quella ancora non superata.
Ci si deve augurare che nel prossimo G-20 le voci europee risultino univoche. Univoche anche sulle questioni di riforma del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale. Una nuova governance globale, capace di guidare la ripresa economica mondiale su basi sostenibili, lungo linee diverse da quelle del passato, non può scaturire da un succedersi, a scadenze sempre più ravvicinate, di vertici di capi di stato e di governo in diverse formazioni, ma può poggiare solo su istituzioni internazionali più rappresentative e più efficaci.
E i paesi europei che già oggi fanno parte, ad esempio, del Fondo monetario internazionale, dovrebbero affrontare il problema di accrescere il loro peso, la loro influenza, unificando le quote di cui dispongono in seno a quella istituzione.
In effetti, a qualunque aspetto si guardi dell'esperienza dell'ultimo anno e della possibile evoluzione del processo di globalizzazione, risulta incontestabile l'esigenza che l'Europa faccia più decisi passi avanti sulla via dell'integrazione, rafforzi la sua capacità di azione comune. L'Unione Europa è stata favorita dalla coincidenza tra l'emergere di situazioni critiche nel secondo semestre del 2008 e una presidenza forte come quella francese. Se ne è giovata sul piano della politica internazionale, contribuendo a disinnescare la crisi russo-georgiana, e se ne è giovata nel fronteggiare l'emergenza finanziaria mondiale.
Ma può l'Unione Europea esitare ancora, dopo quel che è accaduto, a prendere la strada di una sia pur misurata armonizzazione fiscale? E molte possono essere le domande della stessa natura relative alla necessità di superare la soglia di persistenti chiusure nazionali e spinte centrifughe. Così, ad esempio, la domanda relativa ai limiti che tuttora incontra un impegno comune europeo in materia di immigrazione e, su un piano necessariamente distinto, a garanzia dell'inalienabile diritto all'asilo per chi sia costretto a richiederlo. Si tratta, sempre, di esprimere più volontà politica, più disponibilità alla ricerca paziente, nel rispetto reciproco, di validi punti d'incontro.
E in generale, può l'Unione Europea affrontare il futuro con presidenze del Consiglio europeo che si avvicendano casualmente ogni sei mesi? Può affrontare il futuro senza darsi una direzione unitaria e degli strumenti validi per esprimere una politica estera e di sicurezza comune? Può l'Europa evitare un fatale declino del suo ruolo in un mondo sempre più diverso da quello del passato, senza riuscire a esprimersi, a crescere, ad agire come entità unitaria, attraverso politiche e istituzioni comuni?
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