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Addio ai consumi Tom-fordisti

di Harold James

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8 gennaio 2010

Le grandi crisi economiche inevitabilmente sono anche pietre miliari strutturali. Semplicemente, non vi è ritorno alcuno a una normalità pre- crisi. Come abbiamo imparato nel 2009, le aspettative e le istanze assumono una nuova configurazione. L'attuale crisi non è semplicemente un ritorno di fiamma della globalizzazione finanziaria. La globalizzazione finanziaria ha fatto cilecca perché ha scommesso su un tipo di economia che stava diventando insostenibile.

Nell'ultimo quarto di secolo –ma soprattutto negli ultimi cinque anni antecedenti al 2008 –il mondo pareva sempre più imperniato sul consumismo americano. I consumi in stile americano hanno offerto un nuovo modello di sviluppo economico, e hanno ispirato un'emulazione alquanto diffusa nel pianeta. Nel corso di pochi decenni i principali centri urbani del mondo hanno iniziato ad assomigliarsi sempre più, fino a sfoggiare gli stessi marchi, gli stessi design, un medesimo stile di vita.I consumi-o per meglio dire il consumerismo – sono parsi globalizzati.
Le università americane hanno offerto nuovi curricula che proponevano studi dei consumie del consumerismo. In seguito agli attentati terroristici dell' 11 settembre 2001, il presidente George W. Bush consigliò agli americani di non permettere che il trauma e lo shock degli attentati intereferissero con la loro consueta abitudine di fare shopping, lasciando intendere che fare acquisti era un dovere patriottico, una virtù.

La crisi post-2007 non è stata soltanto una questione finanziaria: ha avuto inizio per le debolezze di un settore specifico –i mutui immobiliari – dopo che una bolla nel mercato immobiliare aveva fatto sì che molti americani prendessero soldi in prestito, in grandi quantità e spesso con modalità disastrose, offrendo a garanzia il valore apparente dei loro capitali per finanziare gli acquisti.

Gli squilibri globali che molte persone considerano essere all'origine stessa del problema hanno riflesso tassi di risparmio pari per lo piùa zero negli Stati Uniti, come pure in quelle economie che meglio emulavano il modello americano: Regno Unito, Irlanda e Spagna.

Durante la crisi, i consumatori di queste economie gravate dai debiti hanno bruscamente cambiato le loro abitudini di fare acquisti. Il tasso di risparmio è salito. La spesa per le automobili si è pressoché arrestata, almeno fino a quando i programmi di stimolo non l'hanno rimessa in moto,per quanto alcuni programmi abbiano semplicemente spinto molte persone a rimandare ad altra data i loro acquisiti. Il mercato dell'automobile è stato salvato nel 2009 a discapito delle vendite nel 2010 e negli anni successivi.

La crisi ha altresì messo in luce la vastità dell'enorme sovrabbondanza del mercato al consumo negli Stati Uniti, e si è calcolato che almeno un quinto dei grandi centri commerciali americani dovesse essere costretto a chiudere i battenti. Per reazione alla crisi si sono registrati un'accelerazione e un incremento degli acquisti online. I marchi di lusso e di prestigio sono stati gravemente colpiti da una vera e propria ondata di consistenti ribassi applicati nell'ultimo trimestre del 2008.

Il fascino dei marchi si è sgretolato assai facilmente. Una delle reazioni che si sono registrate è stata quella di cercare strategie marketing del tutto inedite, come nel caso del costoso marchiodi calzature da donna Jimmy Choo che sono vendute con modelli più accessibili dalla catena H& M a prezzi molto più contenuti.

Una ripresa simile a quella che si è avuta nel mercato del lusso è stata in buona parte limitata ad articoli di lusso cosiddetti accessibili – quali scarpe,borse o cravatte –escludendo quindi acquisti di più grosso valore quali yacht o automobili da corsa. Gli acquisti di articoli relativamente più low- cost possono pertanto essere considerati a tutti gli effetti come altrettanti sintomi di un'astinenza dalla frenesia consumistica globale.

L'era del consumismo è stata ilfrutto di due crisi precedenti. La Grande Depressione degli anni Trenta è stata interpretata come l'esito di consumi inadeguati, di povertà in periodo di piena abbondanza. I governi si sono accollati la responsabilità di stabilizzare e organizzare i consumi a un livello molto più ampio.

La seconda grande crisi globale degli anni Settanta ha sconvolto il modello produttivo che faceva affidamento sull'industria pesante, e al contempo anche l'idea che i governi dovessero occuparsi dell'economia. Gli anni Settanta di fatto hanno inaugurato un nuovo modello di consumo sostenuto tramite l'individuazione dei desideri personali. La produzione è stata decentrata e si è concentrata sulla creazione di prodotti di nicchia per mercati altamente specializzati. Consumare è diventato un fenomeno essenzialmente individuale, tramite il quale ci si poteva distinguere dalla massa.

In retrospettiva, gli anni Settanta segnarono la fine di un'epoca caratterizzata dalla produzione di massa e l'inizio della nuova era del consumerismo.
  CONTINUA ...»

8 gennaio 2010
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