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GLOBALIZZAZIONE / Un'Europa senza fantasisti

di Wolfgang Münchau

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8 Settembre 2009

Una delle probabili conseguenze di lungo termine della crisi finanziaria sarà un'accelerazione del declino economico dell'Europa. Non è certo un esito inevitabile, ma temo sia probabile.

A prescindere da quello che facciamo noi, Cina e India finiranno per spodestare l'Unione Europea diventando le prime economie del pianeta. Ma quando parlo di declino mi riferisco al declino del tenore di vita. La crisi finanziaria ha determinato un calo della crescita potenziale in tutta l'area dell'Atlantico settentrionale. Sia gli Stati Uniti sia l'Europa dovranno affrontare un periodo d'aggiustamento, con un tasso di crescita ridotto. Gli Stati Uniti saranno i primi a riprendersi, perché hanno un'economia più dinamica, meccanismi più coerenti per le politiche macroeconomiche e, a differenza della Ue, un autentico mercato interno, che non si sta sfilacciando.

E allora, che cosa dovrebbe fare l'Europa? Una lista sensata delle misure da intraprendere sul fronte macroeconomico, pubblicata sui Memos to the New Commission, è quella proposta la scorsa settimana a Bruxelles dal think tank Bruegel (gli autori sono i professori Jürgen von Hagen e Jean Pisani-Ferry). Sei sono i suggerimenti avanzati nel documento: non è un elenco completo ma è ragionevole.

Non bisogna aver fretta d'interrompere repentinamente le misure di stimolo. Bisogna garantire un'adeguata sequenza di azioni per evitare il rischio di una recessione a W, con risalita e successiva ricaduta.

Bisogna adottare un programma di crescita quinquennale. Aggiungerei che questo non è da confondere con i programmi per la competitività che l'Ue promuove da secoli. Dovrebbe riguardare politiche specificamente concepite per far aumentare il tasso di crescita del Pil, senza il consueto, interminabile elenco di obiettivi supplementari.

Bisogna andare oltre il rispetto meccanicistico e formale del patto di stabilità e di crescita, l'attuale meccanismo per il coordinamento delle politiche di bilancio, che non dovrebbe includere solo impegni vincolanti sul deficit e strategie di medio termine, ma anche riforme istituzionali, probabilmente necessarie in molti stati membri.

La crisi ha dimostrato che le politiche macroeconomiche dell'Eurozona devono essere coordinate meglio, specialmente per le crisi e la gestione del dopo-crisi.

Bisogna accelerare l'introduzione dell'euro nell'Europa Centro-orientale. Von Hagen e Pisani-Ferry sottolineano giustamente che se ci si basasse su uno dei criteri d'ammissione, il tasso d'inflazione, in questo momento potrebbero entrare tutti, mentre se ci si basasse su un altro, il deficit, in questo momento non potrebbe entrare nessuno. Un'applicazione burocratica dei criteri non è un modo maturo per gestire l'allargamento della moneta unica.

Bisogna fare qualche passo nella direzione di una rappresentanza esterna comune dei paesi della zona euro.

Sfortunatamente, la maggior parte di questi suggerimenti non ha alcuna probabilità di essere implementata. Per adottare queste politiche servirebbe la leadership politica di cui l'Ue è carente. Se leggete il piano quinquennale stilato da José Manuel Barroso, il presidente della Commissione, anch'esso reso pubblico la scorsa settimana, scoprirete un'incredibile mancanza d'immaginazione e d'ambizione.

Perché questa mancanza d'ambizione rappresenta un problema? Perché le misure adottate nel dopo-crisi per molti versi sono più importanti di quelle adottate in risposta alla crisi. Questa è stata relativamente lineare: garantire il passivo del sistema bancario e stimolare l'economia sono state politiche adottate, dove più dove meno, da tutti i governi. Nella maggior parte dei casi si è trattato di provvedimenti nazionali, con un coordinamento a livello comunitario limitatissimo. Alla Ue avrebbe fatto bene un coordinamento maggiore. Ma la risposta è stata sufficiente a prevenire una catastrofe a trecentosessanta gradi.

Le misure adottare nel dopo-crisi non saranno altrettanto dicotomiche, e la Commissione dovrà giocare un ruolo molto più importante, perché si tratta di gestire problematiche strutturali profonde.

Ora, perfino con Barroso in carica, qualche iniziativa molto limitata su un sottoinsieme di queste proposte ci sarà, ma non vi aspettate chissà che. In assenza d'iniziative, probabilmente Barroso si troverebbe a sovrintendere la reintroduzione dell'escudo in Portogallo, il suo paese. Io non credo che andrà a finire così, mi aspetto di vedere i provvedimenti minimi necessari a impedire una catastrofe assoluta.

Ma probabilmente non ci sarà una strategia d'uscita sequenziale. Come abbiamo appreso la scorsa settimana, la Bce premerà autonomamente il grilletto dei tassi di interesse al primo segnale di inflazione. Quanto alle politiche di bilancio, le prime a rientrare nei ranghi - succeda quel che succeda - saranno Germania e Olanda, e la Francia sarà tra le ultime, ed ecco dunque una certa sequenzialità. Non ci sarà nessun programma per la crescita: qualunque venga adottato non guarderà alla crescita, ma agli interessi di qualche lobby.

  CONTINUA ...»

8 Settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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