Chi nutre un'incrollabile fiducia nella geometria delle cifre l'aveva previsto già da qualche settimana e ieri ha ottenuto soddisfazione. L'oro ha rispettato le indicazioni dei grafici e ha superato i mille dollari per oncia, un traguardo annunciato, carico di corollari per gli altri metalli preziosi. Al fixing di Londra l'oro ha toccato in mattinata 1004,50 dollari, il massimo dal marzo del 2008, mentre l'argento è salito a 16,75 dollari, la punta più alta degli ultimi 13 mesi, il palladio ha stabilito il primato annuale di 296 dollari e il platino si è fissato al massimo mensile di 1.280 dollari.
A proiettare i prezzi verso l'alto sono stati gli investitori, mossi a loro volta dalla cautela, se non dalla paura. Paura della crisi economica, della debolezza del dollaro, del possibile rincaro del petrolio (tornato proprio ieri oltre i 71 dollari al barile) e dei suoi riflessi sull'inflazione.
Febbrili acquisti si sono riversati in questi giorni sulle monete d'oro, come segnalano alla Confinvest di Roberto Binetti, uno dei principali operatori del settore: «Vengono richieste anche da investitori tedeschi – commenta Binetti – che pare abbiano moltiplicato per 5 le richieste di oro fisico, puntando in particolare sui marenghi svizzeri». Il grosso della domanda italiana è però sulle sterline Elisabetta II, il conio più recente, mentre altre monete di pregio vengono scelte soltanto nel caso si desideri regalarle.
Il volume crescente forse si può collegare anche allo scudo fiscale e alla necessità di trovare una valida collocazione per reinvestire i capitali in fase di rientro in Italia. Sono comunque molto meno ambìti i lingotti: le loro dimensioni sono onerose, oppure comportano una spesa elevata per la lavorazione di quelli di piccolo taglio.
La situazione non è delle migliori per chi deve acquistare oro per lavorarlo. «Anche se la debolezza del dollaro rispetto all'euro riesce a mitigare l'effetto per i nostri associati – commenta Stefano De Pascale, direttore di Federorafi – le ricadute del balzo dei prezzi non saranno positive. Si temono contraccolpi a valle, come il rischio di rinvii degli acquisti da parte dei grossisti». Le incertezze dell'economia, aggiunge De Pascale, non invitano a importanti acquisti, per cui si privilegiano i gioielli di design, ma con minor valore intrinseco.
Investitori in prima fila
La propulsione è tutta dell'investimento e lo confermano anche gli ultimi dati del World Gold Council, secondo cui il secondo trimestre dell'anno ha visto un incremento del 46% in volume per la domanda degli investitori, mentre la gioielleria ha accusato un calo del 22 per cento.
I motivi per tornare verso l'oro non mancano. Ai timori di inflazione futura si aggiunge anche l'attuale bassissimo livello dei tassi d'interesse. Anche se in serata la quotazione dell'oro al Comex di New York è tornata sotto quota mille, dopo aver sfiorato una punta di 1.010 dollari, i grafici dei tecnici forniscono indicazioni che inneggiano al Toro. Chiusa una naturale fase di assestamento, la prossima linea di resistenza è individuata intorno a 1.040 dollari.
Una volta infranta (e sarebbe un record assoluto per il metallo), si aprono praterie inesplorate: Greg Gibbs, di Royal Bank of Scotland, ritiene che l'oro rappresenti una buona copertura di fronte ai rischi delle attuali politiche monetarie, che potrebbero far perdere il controllo sulla liquidità del sistema. Per Hwang Il Doo, della coreana Keb Futures, l'oro vedrà i 1.100 dollari entro l'anno. Mark Cutifani, chief executive della sudafricana AngloGold Ashanti, il terzo gruppo aurifero mondiale, ritiene che livelli superiori a mille dollari siano sostenibili anche nei prossimi mesi.
Il favore incontrato dagli Etf auriferi è meno evidente rispetto alla scorsa primavera, ma ancora solido. Gli Exchange traded fund si scambiano in borsa come titoli azionari e replicano esattamente il valore di un decimo di oncia d'oro, metallo che viene accantonato a garanzia presso una banca: il più diffuso strumento di questo tipo, l'Spdr Gold Trust, all'inizio di giugno aveva accumulato 1.134,03 tonnellate, mentre alla fine della scorsa settimana la giacenza era di 1.077,63 tonnellate. Il quantitativo è calato, però è più che sufficiente a collocare questo Etf al sesto posto tra le grandi riserve auree, davanti a quelle svizzere e alle spalle di quelle italiane.
Le previsioni positive ovviamente si sono tradotte anche in un netto recupero dei titoli auriferi: il numero uno, la canadese Barrick, a New York ha visto le proprie quotazioni salire per la prima volta in un anno sopra i 40 dollari. L'americana Newmont, il numero due, ieri non ha guadagnato terreno, ma rispetto all'inizio di settembre ha comunque recuperato il 14%. Un balzo del 10% ha contrassegnato a Hong Kong la cinese Zijin Mining, la società aurifera più importante del paese, mentre Newcrest, numero uno australiano, ha visto ieri un rialzo del 3,65 per cento.
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