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APPALTI E SICUREZZA / La legalità può correre sul protocollo

di Lionello Mancini

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1 Aprile 2010

È un debutto, e agli addetti ai lavori questo non sfugge. «Per la prima volta un'impresa si dà regole antimafia proprie, stabili, non legate a una gara d'appalto». Questo il giudizio di Alberto Cisterna, calabrese, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia che da anni studia i temi di quale governance le imprese debbano dotarsi per operare in ambienti socio-economici difficili. Secondo gli osservatori più esperti, la novità del Protocollo firmato l'11 marzo in Calabria tra Italcementi e la Prefettura di Reggio (si veda Il Sole-24 Ore del 12 marzo) conferma una tendenza alla «responsabilità rafforzata», che spinge a dotarsi di strumenti adeguati e non si autoassolve invocando proprio il difficile contesto sociale.
La riflessione e gli interrogativi del giovane magistrato calabrese accompagnano un percorso appena iniziato per il mondo della grande impresa, dopo lo scatto che a fine 2007 ha portato al pronunciamento antiracket di Confindustria Sicilia. In questi due anni, una combinazione di fattori (la crisi, i successi repressivi, le carenze della burocrazia, le inchieste giudiziarie) ha mantenuto viva nel sistema economico l'esigenza di cambiamento, fino a produrre per Italcementi il Codice firmato da Piero Luigi Vigna, Giovanni Fiandaca e Donato Masciandaro, poi calato in una miriade di procedure aziendali. Due anni di lavoro tutto interno al gruppo di Bergamo possono essere ora valutati dagli addetti ai lavori: tecnici, magistrati, investigatori.
Il primo dato che emerge è che a leggere il Protocollo nessuno ammicca o fa spallucce, com'era accaduto alle prime notizie sul Codice (e com'era accaduto anche a Ivan Lo Bello e ai suoi, all'esordio degli impegni antiracket). «Gli imprenditori - dice Giovambattista Tona, 39 anni, titolare del processo Calcestruzzi a Caltanissetta - sono efficacissimi nel valutare la solvibilità dei loro clienti, lo radiografano, minimizzano il rischio di non incassare: adesso questa stessa attenzione viene rivolta su quanti agiscono solo per inquinare il mercato». Perché, prosegue il giudice, «l'Italia non ha bisogno di professionisti dell'antimafia, ma di professionisti che facciano il proprio lavoro e si attengano alle regole operando nella legalità».
All'Anas, stazione appaltante delle più grandi infrastrutture viarie, guardano con interesse alle novità degli impegni sottoscritti l'11 marzo dal colosso del cemento e notano come nei protocolli di legalità che i general contractor firmano per legge, la tracciabilità dei flussi finanziari inizia da 50mila euro al trimestre in su e non dai 2mila euro fissati da Italcementi (articolo 5). Una stretta severa, che riduce a una fascia irrisoria le somme senza obbligo di bonifico bancario.
Anche l'Anas, proprio in questi mesi, compie nuovi passi per spianare la strada a «Trasparenza e legalità». Ed è così che ha intitolato l'ufficio nato nel 2008 per coordinare queste tematiche. L'unità è stata affidata a un ex colonnello della Guardia di Finanza esperto di appalti, che interloquisce direttamente con la presidenza Anas. All'unità Trasparenza e legalità fa capo anche Siceant, la rete informatica aggiornata in tempo reale con le cosiddette «interdittive», ovvero gli stop delle Prefetture alle imprese appaltatrici e subappaltatrici non in regola con le normative antimafia.
Esperienze nuove, avanzate, che trovano in Confindustria un ascolto e un appoggio finora mai sperimentato. Con qualche comprensibile difficoltà a livello locale, tanto che l'11 marzo, a Reggio Calabria, nonostante i ripetuti inviti, non si è presentata al tavolo prefettizio l'Assindustria regionale. Nessuna motivazione ufficiale, ma è probabile che in una realtà economica in cui non tutto avviene alla luce del sole (e del Fisco), l'idea di sottoscrivere le stringenti regole del Protocollo Italcementi deve aver provocato più di qualche mal di pancia.
Eppure, dice ancora Cisterna, «l'unica nostra speranza è una convergenza tra antimafia e antievasione, una convergenza vera, che si basi essenzialmente sulla tracciabilità. I paesi che non hanno la mafia sono quelli che non hanno nemmeno l'evasione fiscale perché è nella zona oscura del "nero", dell'evasione e delle tangenti che la mafia prospera». Ma per combattere l'evasione dev'essere unito tutto il paese, l'economia, la politica, la società.
Ecco perché preoccupa il fatto che – per dirne una – non sia ancora legge l'annunciata tracciabilità delle enormi spese della ricostruzione in Abruzzo, mentre i primi miliardi sono già stati liquidati alle imprese. Così com'è rimasto sulla carta il «piano straordinario» antimafia governativo annunciato a Reggio Calabria, dopo la bomba al tribunale del 3 gennaio: di quei nove punti sta partendo il numero 1, l'Agenzia per la gestione dei beni confiscati, ma degli altri si è persa traccia.
La strada per una piena collaborazione in chiave antimafia tra società, economia e istituzioni è, dunque, un obiettivo da raggiungere. Ma sui fatti riscontrabili, sui patti già sottoscritti, il confronto è aperto.

  CONTINUA ...»

1 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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