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La leva del fisco tirata solo a uso interno

di Carlo Bastasin

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10 novembre 2009

Il presidente Barack Obama, in pubblico, e il suo consigliere economico Larry Summers, in privato, sono stati chiari nel lanciare l'allarme sulla ripresa economica. La recessione del 2009, sostengono, non entrerà nei libri di storia come una nuova Grande Depressione, ma per esserne certi è indispensabile raggiungere una "velocità di uscita" dalla crisi che ancora non abbiamo. La crescita attuale in America è interamente dovuta allo stimolo fiscale del governo e alla ricostruzione delle scorte che erano crollate negli ultimi trimestri. Se non si sostiene ancora la crescita, la disoccupazione aumenterà. Per evitare un decennio di crisi è necessario un ulteriore intervento: infrastrutture, credito alle piccole e medie imprese, occupazione. Qual è la percezione di questa fragilità della ripresa tra i governi europei?

L'iniziativa più vistosa è quella del governo di Angela Merkel che sta varando un programma di stimolo fiscale. Forse si tratta di una politica che va nella direzione giusta, ma di dimensioni ridotte e che avrà risultati contraddittori. Non avviene in modo coordinato con altri paesi, né viene seguita dalle altre grandi economie europee, a cominciare da Francia e Italia. Una spiegazione è che la situazione tedesca, paese in surplus di risparmio, è diversa da quella degli altri paesi europei in disavanzo con l'estero. Ma purtroppo la vera spiegazione è che l'iniziativa tedesca ha pure finalità politiche interne. I suoi obiettivi sono nazionali e non europei, né globali e per questo i suoi strumenti sono fragili e rischiosi. Resta aperto il tema se l'Europa possa basarsi sulle agende dei partiti nazionali, ora che l'euro trasmette le scosse anche di piccoli paesi come la Grecia nel cuore di tutte le capitali. E di come anche in Italia la politica fatichi ad assumere il quadro internazionale come vincolo e stimolo al senso di paralisi dettato dagli equilibri di potere dei partiti e delle parti sociali.

La legge di stimolo della crescita, che il parlamento di Berlino finirà di votare tra dieci giorni, sposta l'accento dalla disciplina di bilancio e dal taglio alle spese alla riduzione delle tasse. La Grande coalizione aveva già previsto uno stimolo dello 0,6% del Pil per il 2010, ora se ne aggiunge uno 0,3%. Dal 2011 è poi prevista la revisione delle imposte sui redditi con un ulteriore stimolo di oltre l'1% (ma su questa seconda fase restano molti dubbi).

È un significativo cambiamento di strategia che coincide con l'ispirazione del secondo governo Merkel: dalla Grande coalizione all'alleanza col partito liberale (Fdp). Le motivazioni interne sono decisive: la prosecuzione della politica di bilancio espansiva, avviata dal precedente governo nel 2009 come risposta alla crisi, rappresenta infatti il metodo più rapido per superare le ampie distanze che separano tuttora l'anima sociale dell'Unione cristiano-democratica (Cdu-Csu) e quella liberale. Tra queste due ispirazioni vi sono divergenze su quasi ogni ambito di politica economica: tasse, assistenza sociale (in particolare sanitaria), mercato del lavoro e sostegno alle imprese.

Una politica di eccessivo rigore avrebbe reso ancora più difficile l'intesa di programma. Il governo vuole evitare riforme troppo ambiziose e sfruttare una certa larghezza fiscale per realizzare i tagli alle tasse indispensabili per l'Fdp, e al tempo stesso favorire un successo elettorale alle elezioni del maggio 2010 nel Nordreno Vestfalia, considerate cruciali dalla Cdu. Se il voto regionale confermerà il controllo della Cdu sul Land più popoloso, la coalizione di governo potrà contare per almeno altri due anni sulla maggioranza dei seggi al Bundesrat, indipensabile per l'azione nell'intera legislatura.
Nella seconda parte della legislatura il governo potrà dunque riportare sotto controllo i conti pubblici senza scossoni parlamentari e decidere se realizzare la riforma delle imposte sul reddito. La credibilità di questa strategia di rinvio del rigore è offerta dalla personalità del ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, il ministro di maggior peso e carisma del gabinetto Merkel.
Il cancelliere d'altronde eredita dal suo precedente governo un doppio e contraddittorio vincolo fiscale. Da un lato un deficit publico stimato attorno al 5% nel 2010, dovuto a due successivi pacchetti di stimolo approvati in risposta alla crisi finanziaria. Dall'altro la legislazione, di rango costituzionale, del "freno al debito" che impone l'eliminazione dei disavanzi federali entro il 2016. In tali condizioni troppi tagli alle tasse verrebbero interpretati come disavanzi che richiederanno inasprimenti fiscali futuri e quindi l'effetto espansivo verrebbe neutralizzato. La strategia tedesca è quindi contraddittoria e infatti è criticata sia a Bruxelles sia dalla Bce.

Berlino risponde che intende rallentare marginalmente l'azzeramento del disavanzo nel 2016, aggiungendo un taglio delle imposte che entro il 2013 dovrebbe ammontare a 24 miliardi di euro, equivalenti allo 0,9% del Pil cumulato e che si spera "autofinanziato". La manovra realizza infatti uno spostamento di entrate dalla tassazione diretta sui redditi personali e d'impresa a quella indiretta. Berlino fa propria l'ipotesi - notoriamente controversa - che la riduzione delle aliquote si traduca in maggiori consumi e quindi maggiori imposte sul valore aggiunto, fino a raggiungere una sorta di neutralità sul disavanzo. Dall'altro lato la manovra intende modificare la tradizionale ripartizione in parti uguali degli oneri contributivi tra impresa e lavoratore dipendente (con un carico maggiore su quest'ultimo).

  CONTINUA ...»

10 novembre 2009
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