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La formica Italia nel suo piccolo va lontano

Editoriale di Marco Fortis

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Mercoledí 11 Novembre 2009
La formica Italia nel suo piccolo va lontano

La produzione industriale italiana a settembre è diminuita del 5,3% dopo essere cresciuta del 5,8% ad agosto: due dati di segno opposto ugualmente anomali e un po' "ballerini", come capita spesso con i valori mensili destagionalizzati. Ciò che conta è che nel terzo trimestre 2009 la crescita consolidata sia stata del 4% sul trimestre precedente: un dato che appare più in linea anche con le recenti indicazioni del superindice dell'Ocse, molto positive per l'Italia. Tuttavia la ripresa mondiale, pur estendendosi geograficamente e settorialmente, resta ovunque debole ed è opportuno interrogarci sul perché.
A un anno dall'inizio della crisi, i debiti delle famiglie rimangono ancora molto elevati in quei paesi che maggiormente hanno contribuito a innescare la "bolla" immobiliare e finanziaria e poi a farla deflagrare. Ci concentriamo su quattro di essi: Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna.
Questi paesi sono stati definiti «cicale», contrapponendoli all'Italia, che pur con i suoi problemi strutturali può essere considerata fondamentalmente una «formica», insieme ad altre nazioni dell'Europa continentale come Germania e Francia, ugualmente caratterizzate da un basso indebitamento privato e da una maggiore propensione verso l'economia "reale".
Secondo gli ultimi dati disponibili della Fed, a giugno 2009 i debiti delle famiglie americane, anche se in lieve flessione, risultavano ancora pari a circa 31.600 euro per abitante.
A luglio 2009, secondo la Bce, lo stock di prestiti erogati dalle banche alle famiglie inglesi ammontava a 23.300 euro, mentre a settembre la stessa cifra era di 19.200 euro pro capite per le famiglie spagnole e di ben 32.800 euro per gli irlandesi, contro uno stock di debiti delle famiglie italiane equivalente a poco più di 8mila euro per abitante.
Dunque, le famiglie americane e irlandesi restano tuttora indebitate grosso modo quattro volte di più di quelle italiane e le famiglie spagnole e inglesi 2,5-3 volte di più.
Queste cifre, che non sono molto diverse in altri paesi "cicala" anglosassoni o del Nord Europa (come Islanda, Olanda, Australia, eccetera), unitamente all'aumento della disoccupazione spiegano perché i consumi privati di mezzo mondo occidentale sono ancora fermi, così come gli investimenti in edilizia. Questa situazione frena, di fatto, il commercio internazionale e così anche le economie dei grandi paesi esportatori ( tra cui Germania, Giappone, Italia) rendendo la ripresa globale oltremodo faticosa. La congiuntura mondiale non può trarre particolare giovamento nemmeno dagli imponenti investimenti pubblici della Cina, che stanno nettamente privilegiando gli acquisti di beni e servizi nazionali in un'ottica essenzialmente protezionistica, con scarse ricadute sulle importazioni dall'estero.
La recente pubblicazione delle previsioni infra-annuali della Commissione europea, nonostante tutti i limiti che in questi momenti d'incertezza presentano gli esercizi previsionali, ci permette di fare il punto sulla crisi mondiale e italiana e sulle possibili dinamiche della ripresa. Nelle ultime settimane, infatti, si sono prospettati per l'Italia tempi quasi biblici per ritornare ai livelli di attività economica pre-crisi. Questa eventualità negativa è stata presentata quasi come fosse un problema squisitamente italiano, derivante dalle nostre intrinseche "fragilità" e da una politica economica anti-ciclica da alcuni ritenuta troppo debole. La realtà è invece molto più complessa e in alcuni casi assai diversa da quanto comunemente si creda, almeno per ciò che concerne alcune componenti del Pil e altre variabili nel cui caso saranno invece gli altri paesi, e non l'Italia,a impiegare tempi molto lunghi per riprendersi.
Consideriamo le stime e le previsioni della Commissione europea sull'arco 2007-2011 e svolgiamo un confronto comparato tra l'Italia e i quattro già citati paesi "cicala" sulla base di otto fotografie della crisi economica che analizzeremo nel seguente ordine: Pil, investimenti in costruzioni, consumi privati, investimenti in macchinari e attrezzature, esportazioni di beni e servizi, spesa pubblica, aumento del rapporto debito pubblico/Pil, aumento del tasso di disoccupazione.

1. Prodotto interno lordo. Analogamente a quanto è avvenuto in altri due grandi paesi esportatori come Giappone e Germania, rispetto al 2007 il Pil dell'Italia è caduto sinora di più rispetto a quello dei paesi "cicala" (Irlanda a parte, che è sprofondata in un autentico abisso) e nel 2011 saremo ancora 3-4 punti percentuali sotto i livelli del 2007, grosso modo come la Spagna, mentre Gran Bretagna e Usa faranno un po' meglio (sempre che le previsioni azzecchino). Va rilevato che il nostro Pil era già calato nel 2008 dell'1% mentre quelli degli altri paesi no. Questa flessione anticipata è stata spesso portata a esempio come un chiaro sintomo di debolezza strutturale del nostro paese. Ma non è così, anzi è vero esattamente il contrario. Infatti, nel 2008 il calo del Pil italiano è stato fortemente influenzato dalla crisi mondiale dell'edilizia che ha agito molto negativamente e prima che su altri paesi sulle nostre esportazioni. Queste ultime hanno letteralmente "preavvertito" l'arrivo del crack immobiliare globale, essendo l'Italia leader tra gli esportatori di beni per la casa: dalle piastrelle ai mobili, dai rubinetti agli elettrodomestici, dai marmi alle macchine per costruzioni. Un nostro punto di forza ha finito così paradossalmente col penalizzarci. Dal 2008 in poi la dinamica del Pil italiano risulta invece abbastanza simile a quella della Gran Bretagna e migliore di quella della Spagna.

  CONTINUA ...»

Mercoledí 11 Novembre 2009
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