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DOPO LA CRISI / Il futuro è ancora EurAmerica

di Fabrizio Saccomanni

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11 settembre 2009

Ho sostenuto finora che la cooperazione transatlantica ha avuto un grande passato, specialmente quando è stato necessario che affrontasse situazioni di crisi. Ma ha un futuro? La domanda è di particolare rilevanza se si guarda al di là dell'immediato, nello specifico al periodo di tempo che sarà dedicato all'attuazione delle strategie per la gestione della crisi concordate nell'ambito del G-20, ancora una volta sotto la guida della forte leadership dell'America e dell'Europa.

Ci auguriamo di comprendere meglio se un oceano separa davvero Stati Uniti ed Europa, allontanandoli nel momento in cui cercano di gestire la crisi. La mia netta sensazione è che non sia così, non ancora. Nel lungo periodo, tuttavia, esiste il rischio che gli Stati Uniti possano cambiare opinione in merito all'utilità della partnership transatlantica e dare maggiore attenzione alle cooperazioni con Cina, India, Brasile, come pure - più in generale - i Paesi emergenti del Sud Est asiatico o dell'America Latina. Alcuni osservatori hanno altresì prospettato la possibilità che in futuro possa esserci un unico importante forum per la cooperazione internazionale, il G-2, al quale prenderanno parte soltanto Stati Uniti e Cina. Non ritengo molto verosimile questa prospettiva e in ogni caso essa non sarebbe nel migliore interesse dell'Europa, né tanto meno degli Stati Uniti e della Cina stessi.

L'agenda alla quale devono fare fronte i politici chiamati oggi a prendere le giuste decisioni incute quasi soggezione: promuovere una ripresa economica sostenibile per rimettere in moto la crescita della produttività, dei commerci, del lavoro; rafforzare il sistema finanziario globale e il suo contesto normativo; porre rimedio alle disparità globali di salario. Purtroppo, queste voci all'ordine del giorno non possono essere affrontate in successione, una dopo l'altra, né in un arco di tempo relativamente lungo, in quanto sono strettamente interconnesse l'una all'altra.

Seguire un iter inadeguato nel raggiungimento dei primi due obiettivi potrebbe determinare una variazione disorganica delle disparità globali di salario, con ripercussioni negative per le prospettive della crescita e per la stabilità monetaria e finanziaria. È davvero difficile immaginare in che modo trattative bilaterali tra Stati Uniti e Cina possano consentire di mettere a punto una strategia in grado d'occuparsi di questi problemi globali. Per esempio, qualsiasi intesa sino-americana sugli aggiustamenti del tasso di cambio o sulla diversificazione delle riserve avrebbe implicazioni per l'euro e renderebbe necessario un coinvolgimento dell'Eurozona. Naturalmente, Stati Uniti e Cina hanno molte questioni e interessi bilaterali di cui discutere, ma il loro dialogo non deve aver luogo a discapito della cooperazione in più ampi fori multilaterali.

Più in generale, una conseguenza della crisi pare essere il ritorno alla cooperazione istituzionale. Dopo aver provato ogni genere di modalità di cooperazione pragmatica e informale, in una successione infinita di "G" vari, la comunità internazionale pare essere ritornata a tutti gli effetti al rifugio sicuro e a lungo bistrattato dell'Fmi. Ciò non deve sorprendere: i gruppi informali non sono in grado di affrontare le emergenze finanziarie, a meno di avere un ramo istituzionale che disponga di risorse e strumenti adeguati. La decisione presa dal G-20 a Londra nell'aprile scorso di dotare l'Fmi di ulteriori risorse, per una cifra complessiva pari a mille miliardi di dollari - inclusa una nuova significativa allocazione di Sdr (Diritti speciali di prelievo dell'Fmi) grazie alla leadership di Gordon Brown e al forte sostegno degli Stati Uniti e dei paesi dell'Eurozona ha sicuramente apportato grande sollievo ai mercati finanziari estremamente affaticati. L'allargamento e l'ufficializzazione del ruolo dell'Fsf (diventato poi Financial stability board), unitamente all'accordo sulla ripartizione del lavoro tra Fmi e Fsb, sono stati graditi segnali di un ritorno a procedure più bilanciate e trasparenti nella cooperazione internazionale. Gli Stati Uniti, i paesi dell'Eurozona e il Regno Unito possono rivestire un ruolo di primo piano in queste istituzioni, nelle trattative miranti a ridefinirne le funzioni e l'incarico, e nella riforma della loro governance interna, al fine di dare peso e voce adeguati a tutti i paesi sistemicamente importanti.

Malgrado queste considerazioni, potrebbe essere prematuro parlare di una nuova forma di partenariato transatlantico come inevitabile punto d'arrivo nell'ambito di istituzioni multilaterali. L'atteggiamento di maggiore apertura di cui ha dato prova l'amministrazione Obama nei confronti della cooperazione internazionale è un gradito sviluppo, dopo che per molti anni gli Stati Uniti si sono trastullati nel ruolo illusorio di sola superpotenza. Nondimeno, prendere in considerazione le opinioni degli alleati ha un suo prezzo. Come ha detto recentemente il vicepresidente americano Biden, «l'America farà di più, e questa è la buona notizia. La cattiva notizia è che l'America chiederà che anche i suoi partner facciano di più».

  CONTINUA ...»

11 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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