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Come la pensava lo disse chiaramente quel pomeriggio di 25 anni fa. Era il 14 settembre 1984, dal palco della Festa dell'Unità, che quell'anno si svolgeva a Roma, nell'area semiabbandonata del Velodromo dell'Eur. Giulio Andreotti, ministro degli Esteri del governo Craxi, era lì per un dibattito con il suo amico senatore comunista Paolo Bufalini, capo della sezione internazionale di Botteghe Oscure e migliorista di spicco. Si parlava di riunficazione tedesca, e Andreotti sganciò la bomba: «Il pangermanesimo va superato: ci sono due stati germanici e due devono rimanere» disse, e la platea si spellò le mani. E aggiunse che, insomma, lui amava tanto la Germania da auspicare ce ne fossero sempre due.
Naturalmente da Bonn, allora capitale federale, arrivarono dure reazioni diplomatiche (era il capo della Farnesina che parlava), mentre dall'altra parte del Muro naturalmente si apprezzò moltissimo. Andreotti giocava su piani diversi (del resto è lui l'inventore della strategia dei "due forni") e da maestro di real politik si mosse con abilità quando gli eventi si misero a correre. Nel 1989 Andreotti era tornato a palazzo Chigi e agli Esteri c'era Gianni De Michelis. Per l'ex esponente socialista - come raccontò tempo fa a Limes - Helmut Kohl deve dire grazie all'Italia e in particolare ad Andreotti se molte cose andarono a posto.
Era il 18 novembre, nove giorni dopo lo smantellamento del Muro: su invito di Mitterrand i leader dei dodici paesi della comunità si ritrovano all'Eliseo per discutere di tutta la faccenda. Doveva essere un incontro di facciata, senza nessun impegno per favorire l'unificazione. La tensione è grande. Sono in molti ad aver paura di un gigante egemone al centro dell'Europa, Mitterrand in testa. Continua De Michelis: «Dopo cena ci raduniamo intorno al caminetto per un caffè. Mitterrand al centro, attorno a lui i capi di stato o di governo disposti a semicerchio, poi una seconda fila con i ministri degli Esteri». La conversazione segue il copione e niente lascia presagire un colpo di scena.
Mitterrand si riferisce all'unità tedesca come a «un'eventualità storica», da esaminarsi in un futuro imprecisato, e comunque «non in tempi brevissimi». Traccia la linea ribadita dallo spagnolo Gonzalez e dalla Thatcher. «Kohl diventa sempre più rosso di rabbia. È emozionatissimo perché capisce che sta rischiando di restare a mani vuote». Ma è la volta del presidente del Consiglio italiano. Prima che prenda la parola, dice De Michelis, «gli bisbiglio nell'orecchio: "Presidente, adesso tutti si aspettano da te la stoccata finale. Ma qui hai un'occasione unica. Qui non bisogna badare alle proprie idee ma alla politica. Proprio perché tutti sanno come la pensi, se apri uno spiraglio a Kohl, le tue parole varranno doppio"».
Naturalmente nasce l'interrogativo se quella volpe di Andreotti aveva già deciso come forse era. Ma De Michelis continua: aveva preparato una frasetta per fissare la posizione italiana. «Questa frasetta dichiara che l'Europa auspica e promuove l'unificazione della Germania, niente di definitivo, ma è ciò di cui Kohl ha bisogno per superare l'impasse». La dinamica dei fatti ricostruiti in effetti porta alla lettura della frase, che in qualche modo prese un po' tutti in contropiede, proprio perché proveniva da quell'esponente politico che storicamente più di tutti amava la Germania «tanto da volerne due».
Ma il cancelliere ebbe buon gioco nei rapporti con i partner europei, che - anche alla luce di quanto emerso oggi - erano un osso molto più duro di quanto potesse immaginare. Il vertice si conclude con un esplicito appoggio al progetto di Bonn. «Credo che Kohl non abbia dimenticato quel momento», conclude De Michelis. Ricorda Sandro Fontana, storico ed ex esponente di spicco della Dc: «Andreotti pose la Germania di fronte a una alternativa senza scampo: o la nuova nazione tedesca di oltre 80 milioni di abitanti accettava di essere "europeizzata", oppure doveva rinunciare alla pretesa di "germanizzare" ancora una volta l'Europa». Fu questa la strada «vincente» - prosegue - perseguita allora dal governo Andreotti con il trattato di Maastricht e con la nascita della moneta unica. Insomma, in cambio della rinuncia al marco e del sostegno all'euro, Andreotti riuscì a far passare l'unificazione tedesca con ampia soddisfazione di tutti i partner europei e della stessa Germania.
Mai le grandi potenze muoiono senza strazi nel loro letto, ma l'Urss ebbe questa "fortuna" e soprattutto questa fortuna toccò al mondo, e all'Europa. Al punto che l'eredità più vistosa del decesso, allora solo annunciato, fu una riunificazione tedesca che dall'89-90 appare una naturale evoluzione, ma in realtà non lo fu affatto, come i documenti declassificati e pubblicati oggi con 10 anni d'anticipo dal Foreign Office britannico confermano.
Si sapeva benissimo dalle cronache nell'89-90, e Kohl lo ha ampiamente illustrato nel secondo volume delle memorie uscito a fine 2005, che l'allora primo ministro Margaret Thatcher fu duramente contraria alla riunificazione tedesca. Nelle sue memorie la Thatcher è stata ugualmente chiara. Si sapeva con meno dovizia di particolari, e si sapeva poco in realtà, che sia il Foreign Office che l'ambasciatore britannico a Bonn, Christopher Mallaby, erano invece a favore della riunificazione, inevitabile e giusta, e già da mesi. E si sapeva meno quanto, inizialmente, anche il presidente Mitterrand fosse contrario, prima di farsi convincere da Kohl in lunghe passeggiate atlantiche e di ottenere in cambio il difficile sì tedesco all'unione monetaria.
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