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I DESTINI DELLA POLITICA / «Questo Pd serve... Anzi, no»

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12 Febbraio 2010

Lettera di Claudio Petruccioli
Caro Emanuele, il Pd è finito? Stando a quel che pensano e dicono in tanti - e non pochi anche fra i dirigenti del partito - resterebbe da stabilire il quando e il come; non se la fine ci sarà. Io non la penso così. Sono convinto del contrario: il Pd non è affatto finito; se è stato difficilissimo costituirlo, sarà più difficile disfarlo, cancellarlo dalla scena politica.
Il Pd, come il "bipolarismo", non funziona, o funziona male. Eppure, come per il bipolarismo, anche per il Ps, sono convinto che indietro non si torni. Chi pensa di poterlo fare, si accomodi; se ne accorgerà.
Qualcuno (non ricordo chi), non molto tempo fa ha osservato che da anni, nella sinistra italiana, di fronte a insuccessi e incapacità non si cambiano dirigenti ma partiti: i dirigenti restano più o meno gli stessi. Mi sembra che questa tentazione "trasformistica" si stia ripresentando. La colpa della "sterilità" sarebbe del territorio, di come è piazzato, di come è esposto, di quanto è grande.
Sono sicuro che questa volta il travisamento non prenderà piede, non ingannerà nessuno. Per la semplice ragione che, fino a non molto tempo fa, i partiti disponibili erano effettivamente inadatti e insufficienti allo scopo; non solo per le "politiche" che riuscivano a produrre, ma per la loro natura e collocazione. Era giustificato affermare l'esigenza di un partito nuovo, che non c'era. Da quando c'è il Pd è evidente che questo problema non si può riproporre. Tutti vedono che non è problema di dimensioni o esposizione del terreno: di terra ce n'è abbastanza e il posto è quello giusto. Manca chi sa attivare e condurre su di essa un'azienda; non manca lo strumento, ma chi è capace di usarlo.
Ciao, Claudio

Lettera di Emanuele Macaluso
Caro Claudio, nella lettera che mi hai indirizzato dici: «Qualcuno (non ricordo chi), non molto tempo fa ha osservato che da anni, nella sinistra italiana, di fronte a insuccessi e incapacità non si cambiano dirigenti ma partiti, e i dirigenti restano più o meno gli stessi». Quel "qualcuno" sono io: il passo si trova nel libro Al capolinea, che scrissi quando nasceva il Pd.
Non ti stupire, in parte sono d'accordo con te: il Pd non è finito, «sta lì come un grande territorio picchettato e nominato». È il territorio che nelle democrazie, bene o male, occupano le opposizioni che hanno una consistenza. Tuttavia noto che il partito di Di Pietro c'è, e ha consensi anche nel Pd; l'Udc di Casini c'è, con i due forni accesi. E il Pd perde pezzi e pezzetti, da Rutelli alla Binetti, dimostrando che l'amalgama non è riuscito.
Il bipolarismo regge ma il bipartitismo è un miraggio: la Lega condiziona sempre più Berlusconi e il Pd cerca soci, alla sua destra e alla sua sinistra. È vero, caro Claudio, il "territorio" c'è, ed è quello che dovrebbe e potrebbe occupare una forza alternativa alla destra: è la legge fisica dell'alternativa.
Il punto è un altro: il Pd così com'è - lo dici anche tu - non è in grado di essere alternativo alla destra. Penso che bisogna lavorare affinché in quel territorio la crisi del Pd che c'è non sia rovinosa. Lavoriamo per una crisi virtuosa.
Questo può avvenire non con le primarie fasulle, ma con un grande dibattito da aprire dopo le elezioni e un rimescolamento di carte. Un dibattito che coinvolga le forze che ritengono ancora possibile e utile per il paese che in Italia ci sia una grande sinistra e una coalizione di centro-sinistra. Senza equivoci e con chiarezza.
Cari saluti, Emanuele

Lettera di Claudio Petruccioli
Caro Emanuele, grazie per avermi ricordato che il "qualcuno" sei tu. Io ho fatto solo un'analisi, una diagnosi: non prevedo una rapida fine del Pd. Sul Pd non incombe questo pericolo. Può restare incolto, inerte, inadeguato; anche per un tempo non breve; ma non scomparirà. Sulla sostanza, convieni anche tu.
Aggiungi un invito a lavorare affinché la crisi del Pd risulti "virtuosa" e non "rovinosa". Tu usi le espressioni "grande sinistra" e "coalizione di centro-sinistra". Ricorderai senz'altro (fu un'esperienza alla quale nel 1992 partecipammo insieme, con altri di provenienza comunista e socialista) la "sinistra di governo". Almeno quando parliamo fra noi, usiamo quest'espressione per indicare il soggetto al quale rivolgiamo la nostra attenzione e le nostre aspettative.
Mi sembra chiaro che, con tale espressione, s'intenda una forza politica che si propone di condurre, guidare e - di tanto in tanto - vincere la competizione con la destra per governare l'Italia. Questa ha da essere costruita sul territorio oggi denominato Pd.
Ricordi il vecchio proverbio cinese? Non importa di che colore è il gatto; importa che prenda il topo. Se c'è un gatto socialdemocratico capace di far fiorire il Pd si dia da fare. Il primo a gioirne sarò io.
Ciao, Claudio

12 Febbraio 2010
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