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COMMENTI / Un euro di carota e due di bastone

di Wolfgang Schäuble

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13 marzo 2010

La Grecia è arrivata a un bivio. Per la prima volta nella storia noi e la zona euro siamo impegnati in un controllo continuo sulla politica fiscale ed economica di uno degli stati membri dell'unione monetaria europea.
Il caso greco ci sollecita a trarre qualche valido insegnamento per l'unione monetaria. Le mie riflessioni non sono in alcun modo riconducibili alle iniziative specifiche messe in atto per stabilizzare la Grecia, né si riferiscono ai dibattiti sulla necessità di una forma di governo economico che fornisca un coordinamento migliore per le politiche economiche di tutta l'Unione europea in genere. Le mie considerazioni si rivolgono in particolare all'opportunità di rendere l'unione monetaria più flessibile di fronte a una crisi. L'euro si è rivelato essere un'affidabile ancora di stabilità: ci ha protetti dalle turbolenze valutarie inter-europee che altrimenti avrebbero aggravato ancor più la situazione in Europa. In ogni caso, nell'ambito dell'unione monetaria ci troviamo davanti a una situazione decisiva. Le ricadute della crisi sono sempre più evidenti, i mercati del lavoro in alcuni paesi languono e l'indebitamento pubblico quasi ovunque è superiore di molto ai limiti di indebitamento consentiti.

V i è un'unica linea di condotta da seguire: tutti i membri della zona euro devono adeguarsi nuovamente al patto di stabilità e di crescita quanto più rapidamente possibile. Sottolineo e ribadisco questa affermazione perché ho l'impressione che i mercati globali finanziari si stiano esprimendo di gran lunga più schiettamente di quanti levano le loro voci dagli ambienti politici.
In alcuni stati della zona euro sono state messe in luce gravi debolezze strutturali, instabilità che devono essere affrontate e risolte con un processo di correzione lungo e spiacevole. La sorveglianza politica economica e fiscale nella zona euro è stata insufficiente a prevenire tempestivamente e opportunamente trend poco auspicabili. Pertanto, dobbiamo utilizzare con determinazione gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione. Da adesso in poi, ogni stato membro che abbia un eccessivo indebitamento non dovrà più ricevere i fondi di coesione dell'Ue se non procede a risparmiare a sufficienza.
È ovvio che il corpus normativo europeo è ancora adesso lacunoso. L'unione monetaria è impreparata per il genere di situazioni estremamente gravi che abbiamo sotto gli occhi e che impongono un intervento a vasto raggio per scongiurare più gravi rischi sistemici. Confidando che la sorveglianza sul budget fosse efficace, si riteneva inverosimile l'odierno squilibrio.
Se vogliamo che l'euro sia forte e stabile sul lungo periodo - condizione sine qua non per la nostra decisione di portare il marco tedesco e la sua alta affidabilità e reputazione nei ranghi dell'euro - dobbiamo essere pronti a integrarci ancor più nella zona euro. Il coordinamento tra i membri dell'euro deve essere di gran lunga di più vasta portata ed essi devono prendere parte attiva nelle rispettive fasi del processo di decisione politica.
Mi rendo conto che si dovranno superare molteplici resistenze politiche. Nonostante ciò, sono convinto che dal punto di vista della Germania, l'integrazione europea, l'unione monetaria e l'euro sono l'unica opzione praticabile. Decisiva è la capacità degli europei di collaborare in forme di partenariato per affrontare le avversità. Per la prima volta, infatti, è diventato palese che un membro dell'unione monetaria che abbia carenze e debolezze economiche perde rapidamente la fiducia dei mercati finanziari globali in una grave crisi di bilancio. Ciò inevitabilmente suscita domande su come sarebbe possibile offrire aiuto a uno stato membro e al contempo scongiurare il rischio di default quando quel paese dovesse consolidare le proprie finanze.
Per tradizione questi sono gli impegni di cui si è fatto carico in molte crisi il Fmi, con validi risultati. Per un membro dell'unione monetaria, questo approccio non è esente da problemi collaterali, perché è stato messo in comune con gli altri paesi un cruciale aspetto politico, ovvero la politica monetaria. Il coinvolgimento dell'Fmi è pertanto oggetto di accese discussioni. Meglio sarebbe per gli stati membri della zona euro premunirsi da soli per tali crisi e potenziare e perfezionare la loro compagine istituzionale. Potremmo dunque far tesoro dell'esperienza fatta con l'uso di strutture dell'Ue per offrire aiuto finanziario a medio termine a stati membri che non fanno parte della zona euro. Nel maggio 2009, i finanziamenti sono stati integrati in modo sostanzioso in considerazione delle ingenti difficoltà economiche che alcuni stati membri dell'Europa centrale e orientale si trovavano a dover affrontare. Tutto ciò è servito a lenire le conseguenze della crisi.

Fmi o Fme?
I membri della zona euro potrebbero anche ricevere aiuti sotto forma di liquidità d'emergenza da un "Fondo monetario europeo" per ridurre i rischi di default. Naturalmente, a tali aiuti sarebbe necessario abbinare rigide clausole e un costo proibitivo, così che si ricorra a essi soltanto nel caso di emergenze che presentassero una minaccia alla stabilità finanziaria dell'intera zona euro. Questo effetto dovrebbe essere ancor più rafforzato escludendo il paese interessato da ogni processo decisionale: in questo modo, pertanto, gli aiuti diverrebbero proprio l'ultima risorsa. Le decisioni politiche riguardanti gli aiuti dovrebbero essere prese nell'Eurogruppo in accordo con la Bce. Gli aiuti di emergenza, inoltre, potrebbero essere vincolati obbligatoriamente a sanzioni più severe nell'ambito di azioni legali per il disavanzo di bilancio. Le sanzioni monetarie potrebbero essere imposte immediatamente e una volta giunto a termine il periodo degli aiuti e il seguente miglioramento della situazione, potrebbero essere imposte allo stato membro senza possibilità di ricorrere a rivendicazioni sulle ammende. La prospettiva di aiuti d'emergenza collegati a un severo intervento correttivo fiscale darebbe rinnovato slancio alla fiducia dei mercati finanziari, prevenendo un acuirsi della crisi ed evitando la necessità in futuro per i membri della zona euro di fare appello al Fmi.
  CONTINUA ...»

13 marzo 2010
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