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RELIGIONI - IL MULTICULTURALISMO / Senza politica l'Islam sbanda

di Khaled Fouad Allam

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14 ottobre 2009

Sono passati solo quattro anni da quando l'ex ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu decise d'iniziare a organizzare il culto musulmano in Italia, attraverso la creazione di una piattaforma, la consulta dell'Islam.
L'articolo 8 della nostra Costituzione sancisce che «tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze». Se tale articolo sancisce un principio d'eguaglianza tra le religioni, rimane il fatto che strutturalmente le religioni sono diverse fra loro; nell'Islam in particolare è assente un'autorità rappresentativa, e alcuni elementi del diritto shariatico si trovano in contraddizione con l'ordinamento giuridico delle democrazie europee: ad esempio il regime matrimoniale poligamico, che peraltro alcuni paesi islamici hanno vietato, come la Tunisia (1956) e la Turchia.

L'Italia, come altri paesi europei, di fronte alla questione dell'organizzazione dell'Islam sul suo territorio ha risposto attraverso una forma di volontarismo dello stato, peraltro messa in dubbio da alcuni esperti che affermavano che, se non esiste una chiesa nell'Islam, non è compito dello stato inventarne una. L'intervento dello stato appare come il male minore, in una situazione del tutto inedita, sia per l'Islam che per l'Europa: perché per la prima volta nella storia si assiste alla formazione di un Islam al di fuori della sua geografia tradizionale. Lo stato, il perno sul quale i musulmani si organizzavano e si strutturavano nei paesi d'origine, scompare come riferimento nel passaggio in Europa. E ciò richiede una riformulazione dell'Islam, attraverso strumenti inediti che né l'Islam né il diritto dei paesi occidentali avevano previsto.

L'idea di una consulta dunque ha rappresentato un tentativo di formulazione di un Islam italiano, vale a dire un Islam che si ponga in consonanza con l'assetto giuridico italiano; essa fu ripresa dal governo Prodi con l'allora ministro dell'Interno Giuliano Amato. Certo, quel tentativo rispondeva anche alle turbolenze dell'Islam e alla questione della sicurezza dopo gli attentati dell'11 settembre, ma rispondeva anche e soprattutto a un'esigenza sociale: man mano che crescevano le comunità musulmane in Italia, aumentava la necessità d'individuare un interlocutore per favorire la nascita di un Islam italiano (ed europeo), che non fosse soltanto un "Islam in Italia".
Oggi sembra che tutto sia congelato, sospeso; ma i problemi non sono scomparsi, la questione del terrorismo - come testimonia l'attentato alla caserma di Milano - è ancora presente, e la deriva comunitarista è anche più forte di dieci anni fa. L'assassinio di Saana, la giovane marocchina, per mano del padre lo dimostra: in assenza di un'autorità e di personale di culto islamico formato secondo i canoni della democrazia italiana ed europea, gli imam, gli addetti al culto o alla direzione della preghiera nelle moschee - coloro che avrebbero il dovere d'impedire quelle derive affinché crimini come l'assassinio di Saana o quello di Hina non avvengano mai più - tacciono o rimangono nell'ambiguità.

Tutto ciò avviene perché l'Islam in Italia si trova in una situazione di disordine: le moschee non rispondono se non a chi le ha istituite, e a volte sono vettori di partiti o movimenti di varia derivazione vietati nei paesi d'origine che cercano di ricostituirsi all'estero. Inoltre è flagrante la mediocrità e spesso l'impreparazione di gran parte di questo personale di culto; nel panorama italiano esso non possiede l'autorevolezza necessaria per costruire in futuro una forma d'autorità religiosa nell'Islam.
Per certi versi, in Italia il panorama religioso islamico sembra molto meno propizio all'innovazione di quanto non lo sia nei paesi d'origine; si sta delineando infatti una forma di neoconservatorismo, mescolato con un neofondamentalismo che tenderà sempre più, se non si inverte la tendenza, a radicalizzare le coscienze delle nuove generazioni. Perché dunque quel silenzio? Si tratta di una strategia o di un momento di osservazione e riflessione? Resta il fatto che la questione dell'Islam sembra essere uscita dal calendario politico dell'attuale governo, mentre altri paesi hanno già avviato un percorso, non certo facile ma necessario, perché la questione dell'Islam non è un lusso: l'Islam è il riverbero della mondializzazione, come ha sottolineato più volte Oliver Roy.

I flussi migratori su scala mondiale, le nuove frontiere Nord-Sud tendono a porre in effervescenza l'Islam e il suo mondo, in una geografia che non è più solo quella delle frontiere, ma è una geografia decentrata con cui il mondo occidentale si dovrà confrontare sempre più; l'Asia e l'Africa sono i continenti in cui l'Islam sarà un fattore sempre più determinante per i futuri equilibri mondiali. Perciò l'Italia e l'Europa avranno sempre più bisogno di elementi d'interfaccia, uomini e donne che si riconoscano sia nell'Islam che nei valori europei; ma bisogna formarli, educarli a questa nuova appartenenza, se non vogliamo scardinare la coesione sociale necessaria a ogni democrazia moderna. Perciò la questione di un Islam italiano sarà sempre più importante.

  CONTINUA ...»

14 ottobre 2009
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