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Ben vengano le nuove regole ma senza vendette populiste

di Giuliano Amato

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15 novembre 2009


È tempo di chiedere alle banche italiane, e alle banche europee che vorranno farlo, di dare un segnale forte a favore delle nuove e ineludibili regolamentazioni delle attività finanziarie e di rompere così il fronte delle resistenze che stanno crescendo e che rischiano di creare in Europa e negli Stati Uniti un conflitto fra istituzioni e operatori dalle conseguenze imprevedibili.

Le nostre banche hanno attraversato la crisi con la dignità e l'orgoglio di chi aveva condiviso assai poco la responsabilità della sua esplosione. Giustamente lo si è loro riconosciuto e si è preso atto che non si erano fatte travolgere dalla moda dell'assunzione di rischi eccessivi e dell'intossicazione dei propri patrimoni e dei portafogli della clientela. Non a caso in Italia non c'è stato il ritorno dell'azionariato pubblico ed è stato assai limitatolo stesso ricorso alle garanzie offerte dallo Stato. La vendetta della storia ha anzi voluto che ciò accadesse soprattutto nei paesi (Gran Bretagna e Stati Uniti) più refrattari a interventi del genere. Anche oggi - e ce lo dicono i dati di R&S Mediobanca diffusi due giorni fa - le banche italiane si differenziano dalle altre per la distanza che mantengono, e anzi accentuano, dalle follie del passato. La loro "leva", e quindi l'entità complessiva dei rischi che assumono rispetto al loro patrimonio, è più bassa della media europea e altrettanto basso è il peso dei prodotti derivati nei loro bilanci. Hanno quindi le carte complessivamente in regola per non sentirsi sul banco degli imputati. Proprio per questo, però, devono evitare di finirci e per farlo devono contrastare il clima che si è creato e che, non certo per la prima volta, è stato denunciato con parole assai forti da Mario Draghi alla Conferenza della Ecb-Cfs Research Network di giovedì scorso.

Ciò che sta succedendo è che nelle banche (più che altrove) tornano i profitti, per molti operatori soprattutto d'oltre Oceano tornano alla vecchia maniera e quella che nel pieno della crisi era un'incontrastata parola d'ordine - nulla sarà come prima - è sempre più messa in dubbio. Già al G-20 di settembre a Pittsburgh fu constatato che «nei mesi recenti si è consolidata in alcune parti del sistema finanziario privato l'idea che lo stesso sistema finanziario e la sua regolamentazione possano subire modifiche solo marginali rispetto alla situazione pre-crisi». E fu unanime il monito dei governi affinché queste aspettative venissero cancellate. Draghi è stato non meno esplicito nel sottolineare la necessità di modifiche sufficienti a superare la "cecità collettiva" che aveva colpito tutti, istituzioni e mercato, prima della crisi. E nel dire che va superata non perché è comunque saggio imparare dall'esperienza, ma perché correremmo altrimenti il rischio di ricaderci un'altra volta, con conseguenze ancora più catastrofiche. Accade invece- ha aggiunto Draghi- che man mano che la crisi economica viene superata, le forze che si oppongono riprendono vigore.

Ora, io lo so bene che quando si cerca dirimediare con nuove regole a defaillance del mercato, si rischia spesso di arrivare a rimedi peggiori del male (dirigo una rivista, «Mercato, Concorrenza, Regole» dedicata proprio a questi temi). Ma il rischio è tanto più elevato, quanto più esagitato è il clima in cui i rimedi vengono adottati, quanto più forti perciò sono le contrapposizioni e quanto più suadente diventa, anche in ragione di ciò, la voglia dei regolatori non di costruire i percorsi di un futuro più funzionante, ma le gabbie in cui punire gli autori dei misfatti passati. In un saggio apparso proprio sull'ultimo numero della mia rivista, Alfredo Macchiati scrive che sino a qualche tempo fa le discipline finanziarie venivano adottate dai parlamenti in un clima naturalmente favorevole agli interessi del settore, perché l'attenzione degli elettori non era attratta da una materia tanto tecnica e i parlamentari erano più facilmente catturati dagli argomenti introdotti nei loro lavori da quegli interessi. Ebbene, dopo tutto ciò che è successo, quel tempo è finito ed è caso mai più probabile che accada l'opposto e prevalga ilfacile populismo contro gli squali della finanza. Nelle sale cinematografiche uscirà presto Wall Street 2 dal quale apprenderemo - ce ne ha informato Il Sole 24 Ore proprio questa settimanache "money never sleeps", il danaro non dorme mai. Ed è proprio vero, seè vero che Goldman Sachs nel terzo semestre 2009 ha fatto profitti per oltre 3 miliardi e ha distribuito bonus corrispondentemente generosi.

Se è così, se quella saggia autodisciplina che ha caratterizzato i nostri banchieri non riesce a diventare oggi una regola generale, quale legislatore può essere tanto irresponsabile da non cercare di stabilirla lui? Ci rendiamo conto che lungo questa strada si era arrivati a far circolare titoli per valori di gran lunga superiori al Pil del mondo intero e che, quando la montagna ha cominciato a franare, ne è uscito per i bilanci pubblici quello che l'Economist ha definito il conto più salato della storia? Siamo realisti: oggi solo dei politici suicidi possono accogliere la richiesta di cambiamenti regolatori che siano soltanto marginali o di pura facciata.
  CONTINUA ...»

15 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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