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Stiglitz-Summers che match

di Mario Margiocco

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16 ottobre 2009

Chi ama andare per la propria strada non rinuncia a incrociare il fioretto. Con ancora più gusto quando di fronte c'è un antico avversario. Anche per questo Joseph Stiglitz, 66 anni, professore alla Columbia, Nobel dell'economia nel 2001 per gli studi sull'informazione asimmetrica, sul fatto cioè che nel mercato non tutti sono uguali, è ormai da mesi il più costante e diretto critico della politica economica dell'amministrazione Obama. Quindi della politica economica di Lawrence Summers, che Obama ha nominato 11 mesi fa direttore del National economic council, cioè stratega dell'economia a diretto contatto e con ufficio vicino a quello del Presidente.

«In genere chi fa queste cose è abbastanza accorto da non lasciare impronte digitali», diceva tempo fa Stiglitz a chi gli chiedeva se davvero fosse stato Larry Summers, nel 2000 ministro del Tesoro di Bill Clinton, a farlo cacciare allora da capo economista della Banca mondiale. Già uno dei consiglieri economici di Bill Clinton, alla Casa Bianca, dal '93 al '95, e poi fino al '97 capo dei consiglieri economici con rango ministeriale, Stiglitz aveva sempre insistito sulla necessità di controlli su mercati, fondamentali ma non perfetti.

La linea del ministro del Tesoro, Robert Rubin, uomo di Goldman Sachs, e del suo vice e poi successore Larry Summers, era invece molto più vicina ai mercati. Ed era per comminare regole severe, in sede Fmi, ai paesi i cui conti saltavano, e che avevano l'unica via dell'austerità, a differenza degli Stati Uniti di oggi che hanno la via della tipografia del dollaro. Stiglitz, da economista della Banca mondiale e da critico del Fondo, era per un approccio più elastico, e meno punitivo.

«L'economia non gira e il piano di stimolo lanciato a febbraio è totalmente sbagliato», dice ora Stiglitz che spiega al Sole 24 Ore alcuni passaggi chiave della sua critica radicale. Non tanto a Obama, che tratta sempre con rispetto. Quanto a Larry Summers, cioè a chi fa la politica economica di Obama.

«Prima di tutto è sbagliato il piano di stimolo varato a febbraio, i 787 milardi dell'American recovery and investment Act. Poi è sbagliata la lettura della crisi, che è molto più severa di quanto Washington pensasse allora. E poi è sbagliato l'aiuto indiscriminato alle banche, quelle grandi, che non dà frutti nell'economia reale. E infine è debole e ambigua la linea seguita per preparare le riforme finanziarie, indispensabili per ridare fiducia nella finanza».

Summers ha annunciato più volte segnali di ripresa, che non ci sono, o stanno rapidamente svaporando, dice Stglitz. L'amministrazione Obama sembra sorpresa e delusa, ma non è il caso. Quanto sta accadendo era prevedibile. «La vera economia non guarda tanto i dati mensili proiettati sul trimestre e sull'anno. L'economia guarda e capisce se si trova lavoro, se le case non perdono più valore, se c'è nuova domanda di beni. Tutto questo non sta accadendo. L'emergenza finanziaria è finita, ad alto costo per il contribuente. Ma i costi veri della crisi, come sempre, emergono dopo la fase acuta, cioè adesso».

Stiglitz non fa sconti. E sostiene che occorre un nuovo massiccio piano di stimolo. Difficile per Summers essere d'accordo, anche perché da cinque mesi ricorda spesso che il piano varato a febbraio funziona, e ha dato frutti.

«Quel piano è stato un errore prima di tutto perché circa un terzo dei 787 miliardi sono di riduzioni fiscali, e questa è liquidità che entra in circolo solo se chi la riceve decide di spenderla. I più la stanno risparmiando, dati i tempi. Nel 2009 - continua Stiglitz - di tutto il pacchetto vengono spesi solo 200 miliardi. Ma poiché gli stati hanno un buco di bilancio analogo, e per legge devono pareggiarlo tagliando le spese o aumentando le imposte, i 200 miliardi di Washington hanno semplicemente compensato questi. Quindi, per ora non c'è stato stimolo». Non resta che vararne un altro, come la situazione richiede, mirato alle infrastrutture, dice il Nobel. Ma prima bisogna ammettere che il calcolo era stato sbagliato, e politicamente è difficile.

Ci sono tre crisi contemporanee, continua Stiglitz, finanziaria, economica e del debito. «Stanno arrivando due milioni di pignoramenti di abitazioni, con il crollo dei valori immobiliari che continua. Si fa ben poco per porvi rimedio. La crisi dell'immobiliare commerciale si sta aggiungendo a quella dell'abitativo. La disoccupazione peggiora. Lo stimolo come abbiamo visto è del tutto insufficiente. E l'unica cosa che Washington ha saputo fare in modo massiccio è la continua iniezione di enorme liquidità nel sistema bancario, in alcune grandi banche soprattutto, un mondo che resta opaco». Stiglitz non vuole commentare se la riconferma di Ben Bernanke alla guida della Fed, a fine agosto, sia stata saggia o no. Ci sono due Bernanke, quello che non ha visto arrivare la crisi e quello che si è dato da fare per tamponarla. Ma oltre questo Stiglitz non va. Osserva tuttavia che pur avendo tranquillizzato i mercati, l'azione di Washington non ha diminuito i rischi. «Le grandi banche sono diventate ancora più grandi. Se erano too big to fail prima, oggi lo sono ancora di più. E arriverà un nuovo momento in cui torneranno dal governo e diranno ancora una volta che Washington non può lasciarle fallire».

  CONTINUA ...»

16 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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