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PMI & RIPRESA / Al lavoro per vincere senza mai lamentarsi

di Aldo Bonomi

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17 Gennaio 2010
Una piccola impresa artigiana (Marka)

Quelli della danza immobile, gli stressati. Così ho definito nel mio ultimo articolo quelli che hanno fatto esodo nella crisi in attesa di tempi migliori. Tenendo aperto bottega, magari accettando la riduzione di fatturato, poi si vedrà. Per capire non bastano i numeri, servono strumenti come focus group e interviste in profondità. Sedendo sul lettino dello psicanalista ci si accorgerà che, come per gli immigrati "volevamo delle braccia e sono arrivati uomini", così si pensa a fare storia di piccole imprese e si incontrano racconti di vita e di comunità locale.
Roberto il metalmeccanico, Luca il trasportatore, Filippo il mobiliere e Dario il chimico, sono, salvo Dario, piccoli imprenditori strutturati con 10-15 dipendenti che è la soglia che rappresenta il muro del suono del capitalismo dei piccoli. Osservano la crisi dal basso. La vivono in orizzontale sul territorio come titolari di imprese familiari con una storia alle spalle di crescita sull'onda del boom della subfornitura a ciclo continuo tra gli anni 80 e 90. L'età dell'oro. Quando si lavorava "solo" 365 giorni perché il calendario non ne aveva di più.
Roberto ti dice subito che in 30 anni non ha mai avuto paura. Di crisi ne ha viste tante. Si è sempre buttato in avanti ed è andata bene: «Avrò fatto più di 10 miliardi di leasing ai tempi della liretta per macchinari che mi permettevano di stare in filiera con clienti come Same, Bosch, New Holland. Ma questa volta ha avuto paura». Gli è passata la voglia. È arrivata l'onda tra settembre e ottobre 2008, è andato avanti fino a dicembre e ha attraversato il 2009 con la riduzione del 70% degli ordini.
Tu spieghi che è più dura per i piccoli di quella filiera metalmeccanica rimasta intrappolata in un meccanismo di subfornitura decentrata che appare ancora verticista e fordista come quella del ciclo delle macchine movimento terra. Lui risponde che è dura con 12 dipendenti decidere chi deve andare in cassa integrazione, dover scegliere tra le storie di vita; tra quelli divorziati, quelli con famiglia e quelli con figli. Si cogestisce con il sindacato la rotazione dei lavoratori e quello che si è messo in cascina negli anni delle vacche grasse serve per tenere la comunità del lavoro dentro le mura dell'impresa.
Meno dirompente l'impatto della crisi per gli altri. Anche se come precisa Luca, 12 addetti specializzati nel trasporto frigorifero loro sono i primi a sentire il calo di circolazione delle merci. La sua impresa ha tenuto. Solo una riduzione del 10% di fatturato. È nel ciclo del trasporto alimentare che è quello che più ha resistito.
È difficile stare dentro la turbolenza della ristrutturazione del ciclo logistico. Sotto, nel pulviscolo della logistica minuta, i furgoncini che impazzano nelle nostre città, ormai non c'è più un italiano che lavora. Tutto in mano a lavoratori e microimprese di immigrati che fanno concorrenza sul prezzo. In alto lo strapotere dei grandi gruppi logistici e finanziari come Dhl che determinano a loro volta il prezzo del mercato. E nella crisi, si sa, il costo è la variabile centrale per tutti. Diminuiscono le quote di mercato delle piccole imprese di trasporto specializzate. In questa situazione non rimane altro che tagliare sulla qualità della propria vita lavorando ogni giorno in mezzo alla scarsità delle infrastrutture, la mancanza di nodi logistici di sistema intorno alle aree metropolitane, con uno sguardo al codice civile per l'impresa e al codice della strada per lavorare.
Filippo, giovane mobiliere di seconda generazione, produce divani su misura con 15 addetti. La crisi l'aveva passata prima. Ti parla come un sociologo della scomparsa del ceto medio che ordinava il salotto, della concorrenza cinese e del proliferare dei negozi in franchising dei grandi marchi commerciali. Fattori che avevano rischiato di far scomparire l'azienda. È risalito prima della crisi cercando clienti per un prodotto di nicchia e maturo aprendo una vetrina virtuale. Lentamente il fatturato ha ricominciato a salire ed ha tenuto durante la crisi.
Dario, il più piccolo, quattro addetti, lui, suo padre e due dipendenti, è sfuggito alla crisi degli stampatori dei prodotti plastici.
Decimati del 50% dalla concorrenza del Far East e dalla oscillazione della materia prima. Snocciola le oscillazioni del prezzo del petrolio e racconta come scartando di lato sia uscito dalla gabbia del terzismo tentando la strada della plastica dei polimeri biodegradabili e facendo prodotti di nicchia per le attrezzature sportive. Collegandosi con il ciclo della distribuzione alimentare per la plastica biodegradabile e andando a cercarsi i clienti per le attrezzature sportive. Pensava che, avendo evitato la crisi degli stampatori, il 2009 sarebbe stato l'anno della crescita. Ha fatto il business del 2008. Gli è andata bene.
Sentendo le loro storie mi accorgo che leggendo le statistiche dei comportamenti collettivi degli imprenditori, sono stato ingiusto a definirli quelli della danza immobile. Si sono mossi. Anche troppo.
  CONTINUA ...»

17 Gennaio 2010
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