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Perché non tramonta l'egemonia di Berlusconi

di Roberto D'Alimonte

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18 Agosto 2009

Sono mesi che Silvio Berlusconi è oggetto di critiche e di domande imbarazzanti in merito alle sue vicende personali. Sulla stampa estera continuano a proliferare giudizi assai negativi su di lui e forti dubbi sulla tenuta del suo governo. Eppure la sua popolarità tra gli elettori italiani, anche se in calo, resta su livelli altissimi. Nemmeno la crisi economica ha cambiato il quadro. Il fatto puro e semplice è che a distanza di 15 anni dalla sua discesa in campo Silvio Berlusconi rimane la figura centrale della politica italiana, nonostante Noemi, le escort e il mai risolto conflitto di interessi. Quali sono le ragioni di questo duraturo successo?
A sinistra molti pensano che la forza del Cavaliere siano le sue televisioni e i suoi giornali. Non c'è alcun dubbio che una parte della spiegazione stia qui. È un fatto che senza le sue tv e l'uso massiccio che ne ha potuto fare, in assenza di regole, Silvio Berlusconi non avrebbe potuto nel 1994 creare un partito da zero e nel giro di pochi mesi farne il primo partito italiano con il 21% dei voti. Ed è un fatto che anche oggi le tv - quelle private e quelle pubbliche - influenzino in vari modi a suo favore l'opinione pubblica. Però fermarsi a questa spiegazione vuol dire rinunciare a capire la complessità del fenomeno Berlusconi. Le tv sono un mezzo che non può sostituire a lungo andare una politica.
Da quando è sceso in campo la priorità politica del Cavaliere è stata quella di unificare la destra italiana sotto la sua leadership. In un sistema maggioritario e bipolare questa è la condizione necessaria per vincere e governare.
Berlusconi c'è riuscito, la sinistra no. Detto così sembra una operazione facile. Invece è stata la quadratura del cerchio. Nel 1994 voleva dire mettere insieme la secessione di Bossi e il nazionalismo di Fini, le aspettative di cambiamento del Nord e le paure del Sud. Berlusconi con i suoi mezzi ce l'ha fatta. Ma c'è voluto del tempo. Solo nelle elezioni del 2001 l'obiettivo è stato raggiunto.
Tutti i partiti della destra italiana erano sotto lo stesso ombrello, quello della Casa delle Libertà. Nel 2008 il processo è stato perfezionato con la creazione del Pdl. Forza Italia prima e il Pdl poi sono stati il perno intorno a cui è stata costruita l'unità della destra italiana. Dal 1994 il partito del Cavaliere ha avuto i suoi alti e bassi (dal 20,6% del 1996 di Fi alla Camera al 29,4% del 2001) ma è sempre stato il partito più nazionale, quello con consenso elettorale più uniformemente distribuito, e con l'eccezione del 1996, quello più votato.
Grazie alla unità dei partiti della destra Berlusconi è riuscito a sfruttare efficacemente il voto moderato. E così è riuscito a tradurre in maggioranza parlamentare quella che è tendenzialmente una maggioranza popolare di destra. Fisco, sicurezza, immigrazione, difesa dei valori tradizionali, riforma della pubblica amministrazione sono i temi intorno a cui è riuscito a consolidare un vasto blocco sociale. Il nucleo di questo blocco è rappresentato dal lavoro autonomo nelle sue varie articolazioni (piccoli imprenditori, professionisti, commercianti, artigiani). Secondo i dati di Itanes alle ultime elezioni politiche il 43% di questi lavoratori ha votato per il Pdl e solo il 24% per il Pd. Ma il Pdl ha attratto anche il 34% degli operai e il 38% degli impiegati esecutivi, contro rispettivamente il 36% e il 30% che hanno votato Pd. Sono più o meno gli stessi dati rilevati prima delle elezioni europee dal sondaggio Sole 24 Ore-Ipsos del 3 maggio scorso. L'abilità di Berlusconi è stata quella di aggregare intorno a questo nucleo, già di per sé molto consistente, altri segmenti elettorali: le casalinghe (il 49% ha votato Pdl contro il 23% per il Pd), i disoccupati (il 49% Pdl e il 27% Pd). Se a questi dati si aggiungono quelli della Lega il quadro complessivo che ne esce fuori è quello di una destra largamente maggioritaria nel Paese.
Nonostante la crisi economica e le escort il governo può ancora contare sul consenso di questo blocco sociale. Anzi la crisi potrebbe addirittura rafforzarlo. Su questo punto la ricerca di Itanes 2008 fornisce un'illuminante chiave interpretativa. L'insicurezza è una delle motivazioni del voto. I dati dicono che tra le maggiori preoccupazioni degli italiani l'insicurezza economica supera di gran lunga come priorità l'insicurezza legata all'immigrazione e anche quella legata alla criminalità. Non è una sorpresa che la grande maggioranza degli intervistati preoccupati principalmente per immigrazione e sicurezza abbiano votato Pdl o Lega. Ma è un sorpresa che il 41% di coloro che hanno dichiarato di essere principalmente preoccupati per l'insicurezza economica abbiano votato per il Pdl e solo il 30% per il Pd. Si tratta di valori più bassi per il Pd e più alti per il Pdl rispetto alla media nazionale del loro voto. Nel 2006 non era così. Allora il 43% di coloro che avevano espresso preoccupazioni legate all'economia avevano votato a favore dell'Ulivo e il 29% a favore di Fi e An. È evidente che c'è stato uno slittamento a destra di questa categoria di elettori. Le ragioni sono molteplici: la debolezza del governo Prodi, la fiducia nell'"uomo forte", la maggiore coesione dello schieramento di destra. Ma il punto politicamente rilevante è che questi dati confermano che la sinistra è in grave difficoltà non solo sulle terreno delle "paure" indotte dall'immigrazione e dalla criminalità ma anche su quelle di natura economica. In sintesi, la sinistra nella sua attuale configurazione è incapace di "gestire e sfruttare elettoralmente temi politici di sua stretta e tradizionale competenza".
  CONTINUA ...»

18 Agosto 2009
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