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INCHIESTE / Le authority sotto assedio: dopo la crisi, la politica cerca di recuperare spazio

di Orazio Carabini

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18 febbraio 2010

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Per fare un altro esempio recente, mentre si discuteva dell'introduzione del processo breve che avrebbe di fatto depenalizzato tutti i reati connessi all'attività sui mercati finanziari (tranne l'insider trading e la manipolazione) la Consob non ha proferito verbo. Mentre è difficile prevedere come andrà a finire il confronto sulle regole destinate a disciplinare le operazioni con parti correlate (azionisti, amministratori, società controllate).

Ma ormai tutto ruota intorno alla scadenza del prossimo giugno: chi prenderà il posto di Cardia? I nomi che circolano sono tanti: il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli (che punta anche alla Banca d'Italia insieme a Lorenzo Bini Smaghi, rappresentante italiano nel comitato esecutivo della Bce), l'ex-direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra, il procuratore di Milano Francesco Greco, il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, il presidente del Tar del Lazio Pasquale De Lise. Ciascuno dei quali darebbe all'authority un'impronta diversa.
Per la Consob si è fatto anche il nome di Antonio Catricalà, attuale presidente dell'Antitrust, l'authority che ha sofferto di più gli effetti della crisi. In un mondo che ha improvvisamente rivalutato gli aiuti di stato alle banche e alle imprese industriali, soprattutto quelle automobilistiche, i tutori della concorrenza si sono visti crollare il mondo addosso. A un tratto la concorrenza non è più un valore socialmente avvertito e le regole fondamentali di funzionamento dei mercati vengono piegate ad altri fini. L'Antitrust italiana si è quindi rintanata nella difesa dei consumatori. Che è un altro mestiere.

Catricalà ha provato a giocare una partita coraggiosa sugli intrecci azionari che inquinano il settore bancario e assicurativo, imponendo ad alcuni nomi blasonati come Generali e Intesa Sanpaolo impegni scomodi. Ma su questo fronte è stato lasciato solo dalla Banca d'Italia e dalla Consob, disturbate dallo zelo del neofita con cui l'Antitrust, appena ricevuti dal parlamento i poteri di vigilanza sul settore finanziario, ha cercato di farsi rispettare.

Il suo momento d'oro è coinciso con le "lenzuolate" liberalizzatorie dell'allora ministro Pier Luigi Bersani (primi passi del governo Prodi nel 2006), basate sulle segnalazioni al parlamento dell'Antitrust. Ma quei provvedimenti hanno dovuto fare i conti da subito con il potere delle lobby. Tanto che di essi ormai è rimasto ben poco in vigore.

L'Antitrust di oggi sembra stanca, incapace di rinnovarsi. E, come la Consob, non "produce cultura". A differenza della Banca d'Italia. Forse servirebbe una sferzata all'intero sistema delle authority. Enrico Letta, oggi vicesegretario del Partito democratico e allora sottosegretario alla presidenza del consiglio, ci provò nella passata legislatura: vigilanza finanziaria divisa per finalità e concentrata in tre soggetti (Banca d'Italia, Consob, Antitrust), controllo sul settore postale all'authority delle comunicazioni, servizi idrici all'authority dell'Energia, nuova authority per i trasporti, collegi e criteri di nomina (bipartisan) standardizzati. Il progetto incontrò molte resistenze e non andò in porto, anche per la fine anticipata della legislatura. Adesso Letta ci riprova, con un volume di Giulio Napolitano e Andrea Zoppini sulle authority al tempo della crisi che rilancia il progetto di riforma (si veda Il Sole 24 Ore del 21 gennaio). «Dobbiamo evitare – spiega Letta – il ritorno di logiche anti-mercato con il pretesto di debellare il "mercatismo"».

Le due principali authority di settore, quella dell'Energia e quella delle Comunicazioni, vivono in condizioni di malessere per motivi diversi. La prima, presieduta da Alessandro Ortis, è governata da anni da un collegio di sole due persone: il presidente e Tullio Fanelli che scadono nel prossimo novembre. La nomina degli altri tre è attesa dal 2004 ma non è mai arrivata. L'authority è stata ripetutamente presa di mira dal governo e dal parlamento che cercano di recuperare competenze. Ortis paga inoltre una linea ostile all'Eni, il cui vertice è solidamente ancorato all'attuale maggioranza. Il presidente dell'authority ha infatti sempre contestato il diverso trattamento che è stato riservato al settore del gas rispetto all'elettricità. Mentre l'Enel ha dovuto cedere il 50% della capacità produttiva e la rete di trasmissione è passata a Terna, una società terza, l'Eni deve scendere al 61% del mercato del gas nel 2010 (ma nessuno ha ancora stabilito che cosa succederà dopo) mentre l'obbligo a cedere la rete di trasporto (Snam rete gas), previsto dalla legge di liberalizzazione del 2000, non è mai stato attuato.
Il monopolio dell'Eni è giustificato dall'amministratore delegato Paolo Scaroni con la necessità di non perdere potere contrattuale nei confronti dei fornitori strategici come la Russia e la Libia. Il monopolio dell'Eni è invece contrastato da Ortis secondo il quale da una Snam rete gas "terza" il consumatore avrebbe tutto da guadagnare.

  CONTINUA ...»

18 febbraio 2010
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