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IDEE DA RINNOVARE / L'Fmi e il feticismo della finanza

di Dani Rodrik

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19 novembre 2009

Perché il Fondo monetario internazionale fa di tutto per non farsi amare da persone come me?Da quando è scoppiata la crisi, il Fondo ha detto e fatto tutto quello che doveva dire e fare. Si è mosso, con tutta la speditezza possibile per un'organizzazione burocratica internazionale, per creare nuove linee di credito destinate a paesi emergenti in difficoltà. Ha rivisto le condizioni di credito per adeguarle al frangente. Sotto l'abile guida del suo direttore generale, Dominique Strauss-Kahn, e del suo insigne capo economista, Olivier Blanchard, ha rappresentato una voce di buon senso sulla questione degli stimoli di bilancio, in mezzo a un'orrenda cacofonia. Per un'istituzione che sembrava sul punto di cadere nell'irrilevanza, fino a non molto tempo fa, è una trasformazione non da poco.

Ma ora Strauss-Kahn getta acqua fredda sulle proposte di tassare i flussi internazionali di "capitali vaganti". L'occasione è stata la decisione del Brasile d'imporre una tassa del 2% sui flussi di capitale a breve in entrata, per prevenire una bolla speculativa e un'ulteriore apprezzamento della sua valuta. Quando lo hanno interrogato sul ruolo dei controlli di capitale, Strauss-Kahn ha detto che lui non sposa nessuna ideologia rigida sull'argomento. Ciononostante, secondo il Financial Times, che ha riportato le opinioni del capo dell'Fmi, «il Fondo non li raccomanderebbe come prescrizione standard, perché comportano dei costi e solitamente sono inefficaci». È una posizione, ahimè, che fa assomigliare il nuovo Fmi a quello vecchio.

I controlli prudenziali sui flussi di capitale sono una cosa più che sensata. I flussi di capitale a breve non solo destabilizzano la gestione macroeconomica dell'economia interna, ma aggravano anche i movimenti avversi del tasso di cambio. In particolare, i flussi di capitali "vaganti" in entrata rendono difficile, per economie finanziariamente aperte come il Brasile, mantenere una valuta competitiva, privandoli di quello che di fatto è lo strumento di politica industriale più efficace che si possa immaginare.

Certo, i brasiliani forse hanno minato i loro sforzi per raffreddare i flussi di capitale in entrata inviando segnali contraddittori ai mercati finanziari. Pochi giorni prima di introdurre i controlli di capitale, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva aveva negato recisamente le voci in tal senso. Se si vuole intervenire in modo deciso sul livello della valuta, ci vuole la determinazione a ritoccare le tasse sui movimenti finanziari e le politiche complementari fino a quando non producono effetti. La timidità è controproducente.

Ma la cosa più importante è il simbolismo della mossa del Brasile, perché indica che i mercati emergenti possono riuscire a superare la loro inevitabile infatuazione per la finanza estera. Una cosa è certa, come hanno scritto gli economisti Arvind Subramanian e John Williamson: l'Fmi dovrebbe aiutare i mercati emergenti a progettare meglio i meccanismi di controllo sui flussi di capitale in ingresso, invece di bacchettarli.

La risposta di Strauss-Kahn, quindi, quando dice che le tasse sui flussi di capitale sono costose e inefficaci, è infelice, ed è anche emblematica della reazione istintiva che spesso confonde i pro e i contro dei controlli di capitale. Ci si può opporre ai controlli di capitale perché si è convinti che i mercati finanziari siano, complessivamente, un fattore positivo, e che interferire, in qualsiasi modo, con il loro funzionamento produca inefficienza. Oppure si può essere contrari ai controlli perché si pensa che sia facile sottrarvisi, e che quindi siano destinati a rimanere inefficaci. Quello che non si può fare è dichiarare la propria contrarietà a questi strumenti perché li si giudica sia costosi che inefficaci.

Pensiamoci un secondo. Se è facile eludere i controlli di capitale (per esempio, manipolando la tempistica delle transazioni oppure truccando la fatturazione dei flussi di scambi) allora il loro effetto sul volume effettivo dei flussi di capitale in ingresso sarà limitato. I controlli di capitale non imporranno costi elevati ai mercati (anche se potrebbero comportare dei costi amministrativi per il governo). Se, per altro verso, gli operatori di mercato devono sostenere costi significativi, o a causa delle tasse che pagano o a causa delle spese in cui incorrono per eluderli, vuol dire che i controlli riescono effettivamente a contenere i flussi di capitale in ingresso. Chi cerca di sostenere entrambe le tesi probabilmente parte da idee preconcette, senza averci ragionato attentamente su.

Può apparire curioso che Strauss-Kahn abbia una reazione istintiva di questo tipo sulla questione dei controlli di capitale. Da un socialista, e un socialista francese per di più, ci si potrebbe attendere un atteggiamento maggiormente scettico nei confronti della finanza.
Ma il paradosso è solo apparente. I mercati finanziari, infatti, hanno un grande debito verso i socialisti francesi. Tutti attribuiscono al dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e a Wall Street la responsabilità di aver premuto in favore di una deregulation della finanza globale. Ma forse ha pesato molto di più il ripensamento dei socialisti francesi dopo il fallimento del loro esperimento di reflazione keynesiana nei primi anni 80. Quando la fuga dei capitali costrinse François Mitterrand ad abortire il suo programma, nel 1983, i socialisti francesi eseguirono un drastico voltafaccia, abbracciando la causa della liberalizzazione finanziaria su scala mondiale.
  CONTINUA ...»

19 novembre 2009
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